Concerti

Il Dall'Ara gremito di fan (foto di Paolo Pontivi)
«Perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia». Come la follia e l’amore dei 74.000 che, sfidando i 36 gradi di un giugno bollente, hanno riempito il prato e le tribune del Dall’Ara per le due tappe bolognesi del tour estivo di Vasco Rossi. «Il primo concerto l’ho visto a quattro anni sulle spalle di mio papà Valdo– racconta Ilaria Zanetti, una delle tantissime fan del rocker di Zocca – e stasera sono qui con lui e con mio marito. Pensi che Albachiara è dedicata a una ragazza di cui Vasco era innamorato. Oggi è una docente che insegna ancora filosofia e il caso ha voluto che mia figlia si ritrovasse nella sua classe». Sono racconti di vita, di momenti di condivisione, di attese interminabili ai tornelli, di tende piantate una settimana prima per accaparrarsi il tanto sudato posto alla transenna. Nelle storie di quelli che ai concerti del Blasco sono ormai una presenza costante, il confine tra la leggenda e la realtà è sfumato, ma poco importa. Quello che conta è l’entusiasmo dei volti che aspettano l’accensione degli amplificatori Marshall e del mega impianto di diffusione, per un happening che è un evento fatto di persone in carne e ossa, al riparo dalla distanza incolmabile che la tecnologia e gli smartphone hanno reso ormai un’abitudine.
Qui ci si tocca, ci si spinge, ci si abbraccia e ci si commuove. Partono le prime note di Vita Spericolata e tra una birra e l’altra, tantissime altre, ci si dimentica di essere nel 2025. Quel Roxy Bar è lì a portata di mano, custode di sogni e speranze di tutte le generazioni che riempiono lo stadio. Se ne contano almeno cinque, nella manifestazione più chiara possibile di quella passione che come un filo rosso unisce chi gli anni ’70 e ’80 li ha vissuti a chi nei ‘90 muoveva i suoi primi passi, per poi crescere nel 2000 e «vivere e sorridere dei guai, così come non hai fatto mai e poi pensare che domani sarà sempre meglio». Proprio come in quella Vivere del 1993 che emoziona i trentasettemila e poi Gli Spari sopra, Buoni o cattivi, C’è chi dice no, Rewind.
Un brano dietro l’altro con pochissime pause e una band che suona davvero, le chitarre in primissimo piano e la batteria potente che tiene un ritmo costante e continuo, una ola perpetua di braccia alzate al cielo. E pensare che un concerto di Vasco non è solo un semplice evento musicale, un comune luogo di aggregazione di persone accomunate da una stessa passione. No, un concerto di Vasco è qualcosa di più profondo, percepibile da chi è ormai un veterano («Quello di stasera è il mio ottantesimo concerto – racconta Pietro, 66 anni – e l’emozione è sempre la stessa»), così come da chi per la prima volta si affaccia timidamente dalle tribune che di seggiolini liberi neanche a parlarne, o magari dal fondo al prato. Tra migliaia di teste e di mani che tengono il tempo, di fidanzate e di ragazzini portati sulle spalle per vedere meglio quel puntino lontano sul palco. Un uomo di 73 anni suonati che si muove come un ventenne, in un afflato totalizzante di energia, rock ‘n roll e passione che inevitabilmente si trasmette come un flusso continuo tra lui e il suo pubblico. Un pubblico senza età, una fede inscalfibile, capace forse di colmare almeno in parte quei vuoti che un vita così intensa, a tratti così “spericolata”, per forza di cose si porta dietro. Il prezzo da pagare per il successo, direbbe qualcuno.
Quel rocker di Zocca che il successo è stato capace di perseguirlo e di mantenerlo nel corso dei decenni, attraverso momenti di crisi, di scivoloni e di sorprendenti risalite. A dimostrazione di quanto sia vero un detto che oggi ci si ricorda poco. Quel “chi la dura la vince” che nell’impietoso universo della musica è una priorità assoluta. «Stasera abbiamo celebrato la vita – dice Vasco al termine dello show, in uno dei più lunghi discorsi della sua carriera – e sventolando questa bandiera della pace diciamo basta alle guerre. Chi le provoca è un farabutto. Un vigliacco che poi si nasconde. Viva i sogni! Viva la vita!». Un po’ come quella Albachiara che se è vero che “respira senza far rumore, si addormenta di sera e si risveglia col sole”, pur sempre “guarda con quegli occhi grandi, forse un po’ troppo sinceri, sì, e si vede quello che pensa, quello che sogna».