repubblica

Foto concessa dall'interessata, credit Isabella Bonotto

 

A “Repubblica delle idee” ci sarà, fra le altre cose, anche tanta politica. Ne parliamo con Annalisa Cuzzocrea, una delle firme più autorevoli del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari.

 

Quanto conta ancora la politica per gli italiani? A chi è rivolto il festival?

«Ha sempre senso parlare di politica perché significa parlare di come si possono cambiare le cose per migliorarle. Il festival non è fatto per i partiti o la politica, il festival è fatto per i cittadini che si riconoscono in quella che Ezio Mauro ha definito la comunità di Repubblica. È innanzitutto una comunità di lettori che condivide determinati valori, un’idea del mondo che possiamo definire progressista, anti-Trump ed europeista. Se ci sono dei partiti che si vogliono fare carico di questi valori e rappresentarli noi ne siamo felici ma Repubblica è un giornale fatto innanzitutto per i suoi lettori. Il festival è un luogo delle idee, dove le idee si incontrano su tanti temi, dal Medio oriente all’Ucraina, al lavoro alla cittadinanza, alla politica in senso stretto».

 

Alla rassegna di Bologna ci sono praticamente tutte le anime del centrosinistra. Come riparte l’opposizione dopo il referendum? Che funzione può avere in questo senso “Repubblica delle idee”?

«Parlando del referendum, la sconfitta non significa che il centrosinistra sia morto o che sia destinato a perdere. Ci sono molte cose da ripensare nella strategia dell’opposizione che deve essere in grado di diventare davvero alternativa. In questo senso è interessante che al festival ci siano Elly Schlein e Giuseppe Conte, ma anche Maurizio Landini che, come segretario della Cgil, era uno dei fautori del referendum, per qualcuno anche con ambizioni politiche. Saranno delle conversazioni che forse faranno venire fuori l’analisi della sconfitta, come si faceva una volta, e un’idea nuova sulla base della quale mettersi insieme. Le politiche sono lontane ma non lontanissime, l’opposizione deve dire dove vuole andare e magari anche con chi».

 

Secondo lei i diversi partiti dell’opposizione sono in grado di riunirsi in un’alleanza coerente?

«Non si è ancora capito che cos’è il “campo largo”, ad esempio, non si è ancora capito cosa voglia fare Calenda, se vuole stare a destra, a sinistra o fermo al centro. Ci sono parecchie incognite, fra cui le rivalità personali dei leader. Conte probabilmente ambisce ancora a una leadership, Elly Schlein legittimamente vuole essere centrale. Per poter parlare di un progetto uno dei nodi da sciogliere è quello di una possibile alleanza strutturale fra “Partito democratico” e “Movimento cinque stelle”. Si dovrà vedere come si posizioneranno le forze politiche nei prossimi due anni».

 

Quale potrebbe essere la ricetta per creare un’alternativa credibile al centrodestra?

«Dato che siamo a Bologna cito Romano Prodi: bisognerà partire dal programma, dai temi su cui costruire una proposta.  A Genova le opposizioni sono riuscite a fare un campo larghissimo su un programma basato sulla città in cui ognuno ha ceduto su qualcosa. C’era chi era più a favore di una grande opera e ha fatto un passo indietro, i "Cinque Stelle" hanno accettato una candidata come la Salis, probabilmente più centrista di quello che volevano. Tutti sono scesi a compromessi e si è creata una coalizione. Al livello delle politiche è molto più difficile ma l’unico modo per costruire un’alternativa è partire dal chiedersi che cosa si vuol fare».

 

Che futuro ha il giornalismo in un momento storico in cui i social sono sempre più visti come fonte d’informazione e le vendite dei giornali cartacei continuano a calare?

«Io sono in controtendenza perché sono molto affezionata al giornale stampato, all’architettura del mondo che ti crea la carta quando ti racconta la giornata, alla gerarchia delle notizie che ti dà. Mi rendo conto di essere novecentesca e che questo tipo di giornale lo continuiamo a fare soprattutto per lettori novecenteschi ma non smetterò mai di difendere questo tipo di giornalismo. Come Repubblica abbiamo poi un sito su cui lavoriamo tantissimo e su cui teniamo a mettere contributi sempre originali. Credo anche che il “citizen journalism” sia un’illusione. È una bufala pensare che chiunque possa fare informazione perché non c’è filtro, non c’è responsabilità né tantomeno deontologia. Oggi c’è un grande bisogno di giornalismo».