Ustica

L'installazione di Boltanski al Museo per la Memoria di Ustica (Foto di Giulia Goffredi)
«Dolore. Strazio. Angoscia». È questo ciò che prova Maria, sulla cinquantina, di fronte al relitto squarciato del Dc-9. È una dei visitatori del Museo per la Memoria di Ustica, che, a 45 anni dalla strage, richiama sempre più persone desiderose di scoprire, capire, non dimenticare. La sera del 27 giugno 1980 ci sono 81 persone sul Dc-9 I-Tigi della compagnia Itavia, 77 passeggeri e quattro membri dell’equipaggio. L’aereo è decollato dall'aeroporto “Guglielmo Marconi” di Bologna alle 20.08, con due ore di ritardo, e si dirige verso Palermo Punta Raisi, dove è atteso per le 21.13. Un volo tranquillo, come tanti, finché, alle 20.59 e 45 secondi, il velivolo non scompare improvvisamente dai radar, precipitando in mare, a nord dell’isola di Ustica. Solo la mattina seguente, dopo una notte infinita, vengono rinvenuti nel Mar Tirreno alcuni detriti e i primi cadaveri. Ne verranno recuperati in tutto 39. Il resto si è inabissato in mare, in un punto in cui il fondale supera i tremila metri di profondità. Nessun sopravvissuto, nessun testimone sicuro. Ancora oggi, nessun colpevole e neppure certezze assolute sulla dinamica.
Una ferita si apre nella vita di molte persone e dell’Italia intera, destinata a non rimarginarsi. Perché 45 anni più tardi, dopo una lunga serie di depistaggi e prove, come registri e nastri radar, mancanti, perizie opposte e pareri contraddittori, rogatorie internazionali quasi mai andate a buon fine e morti sospette, la Procura di Roma ha richiesto l’archiviazione dell’ultima indagine sulla strage, avviata nel 2008, poiché, a oggi, rimangono ignoti gli autori del reato. Ma l’attenzione delle persone non cala, perché nel 2025 si prevede che le presenze al museo bolognese di via Saliceto – tra italiani e turisti stranieri – batteranno il record delle 22.600 dello scorso anno. Lì dove riposa il relitto recuperato in due campagne, nel 1987 e nel 1991, immerso nell’installazione visivo-sonora dell’artista francese Christian Boltanski, in cui le 81 vittime rivivono nelle 81 luci che lampeggiano sempre più debolmente, ma senza spegnersi mai, e negli 81 specchi neri che confidano, come segreti, attimi di vita quotidiana, frasi che potrebbero sfuggire a ognuno di noi. Non si ferma il dibattito, perché si presentano libri, vecchi e nuovi, sull’argomento e si pubblicano ancora inchieste, come quella di Paolo Biondani – uscita lo scorso 14 aprile su "L'Espresso" – che sostiene l’ipotesi di una collisione con un caccia americano. Non accenna ad affievolirsi, anzi, si rinnova ancora una volta l’urgenza di avere risposte da parte delle associazioni che da anni si battono per la verità e che, anche quest’anno, si preparano a ricordare con tutta la cittadinanza i loro cari e la strada fatta fin qua.
«Anche in questo 45º anniversario ci troveremo alle 10.30 del 27 giugno in Comune a Bologna per l’assemblea della nostra associazione, insieme a tutti coloro che ancora oggi ci raggiungono dalla Sicilia e dal resto d’Italia», spiega Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica ed ex parlamentare – prima alla Camera, nel biennio 1994-96, poi al Senato fino al 2006 – dei Democratici di Sinistra, che quella notte del 1980 perse il fratello Alberto. Sicuramente c’è il punto da fare in vista dell’udienza fissata dal giudice per le indagini preliminari per il 26 novembre, in cui si deciderà se accogliere o meno l’archiviazione richiesta dal pubblico ministero.
«Stiamo leggendo le carte (435 pagine, ndr) e confermano completamente la verità sulle cause dell’evento, che già ci aveva consegnato il giudice istruttore Rosario Priore nel 1999», continua la presidente Bonfietti, sottolineando che «il Dc-9 è stato abbattuto all’interno di un episodio di guerra aerea». Quella che, come cita lei stessa a memoria dalla sentenza-ordinanza del magistrato Priore, fu una «guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti».
Diciannove anni dopo la tragedia, il lungo e tortuoso percorso che aveva accompagnato l’inchiesta della Procura di Roma, affidata a Priore nel luglio del 1990, si concluse con un risultato parziale. Non furono individuati gli autori materiali della «strage aviatoria» – questo il nome che assunse giuridicamente il disastro nel gennaio del 1984, dopo l’iniziale ipotesi di un «cedimento strutturale» diffusa il giorno del ritrovamento – ma si riconobbero le due cause più probabili dell’abbattimento: l’esplosione di un missile o la quasi collisione con un altro velivolo, cioè un collasso dovuto alla turbolenza creata dal sorpasso ravvicinato di un mezzo molto più veloce. «Il giudice – prosegue Bonfietti – aveva avuto conferma dagli esperti della Nato che in cielo, quella notte, c’erano aerei americani, inglesi, francesi e belgi, oltre ad alcuni con il transponder (dispositivo che trasmette un codice univoco ai controllori del traffico aereo, permettendo l’identificazione del velivolo, ndr) spento, probabilmente libici. Questo è lo scenario in cui è avvenuto l’abbattimento di un aereo civile in tempo di pace».
Le indagini si riaprirono nel giugno del 2008, un anno dopo l’inaugurazione del museo che accoglie il relitto, in seguito alle dichiarazioni dell’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. In un’intervista a Sky Tg24, questi affermò che era stato un missile a risonanza lanciato da un aereo francese ad abbattere il Dc-9. A informare sia lui, all’epoca Capo di Stato, che l’allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giuliano Amato, erano stati i servizi segreti italiani. Ma perché un simile attacco? La tesi è che i francesi sapevano che sui nostri cieli sarebbe passato l’aereo del leader libico Mu'ammar Gheddafi, il quale, però, tornò indietro subito dopo il decollo, avvisato dal generale Giuseppe Santovito, capo del Sismi, il Servizio per le informazioni e la sicurezza militare.
Negli ultimi 17 anni si raccolgono nuove testimonianze, e tra queste c’è anche l’addetto dell’Aeronautica militare Giovanbattista Sparla – il “supertestimone” apparso l’8 maggio sulle pagine di Repubblica – che quella sera prestava servizio nella sala operativa Shape della Nato. Si fanno nuove rogatorie. Si cerca di erodere ancora un po' il “muro di gomma”, come s’intitola il film di Marco Risi e Andrea Purgatori del 1991, che impedisce di arrivare alla verità. Ma anche questa volta le indagini si concludono senza la ricostruzione esatta della dinamica della strage e senza aver trovato i responsabili.
Il giudizio di Bonfietti è molto duro: «Questa è una sconfitta della magistratura, incapace di farsi rispondere in maniera soddisfacente dai Paesi amici e alleati. È un’offesa per tutto il Paese alla nostra dignità nazionale». Le fa eco la presidente dell’Associazione per la verità sul disastro aereo di Ustica (Avdau), Giuliana Cavazza, figlia di una delle vittime, la quale definisce l’archiviazione «deludente per il Paese». L’appello, con rinnovata urgenza, è al governo, affinché si attivi e riesca laddove la magistratura ha fallito. Ma l’incontro con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, chiesto, lo scorso marzo, sia da Bonfietti che da Cavazza, non sembra al momento che ci sarà in occasione delle cerimonie per il 45º anniversario, ora in fase di organizzazione.
Il primo appuntamento è il convegno dell’Avdau del 25 giugno, durante il quale verrà anche presentato il nuovo volume "Uscire dal labirinto" (LoGisma), un «dizionario storico» per orientarsi nella vicenda, curato dal vicepresidente Gregory Alegi, storico e giornalista. La tesi sostenuta dai membri di questa seconda associazione è, però, molto diversa, ovvero la detonazione di una bomba posizionata nella toilette di coda dell’aereo. Secondo la recente richiesta di archiviazione della Procura romana questa pista lascia, tuttavia, molte domande senza risposta, a partire dal decollo con due ore di ritardo del Dc-9, che rende improbabile la presenza di un ordigno a tempo a bordo. Al contrario, a sostenere la quasi collisione, ma attribuendo la responsabilità a un aereo militare italiano impiegato in un’esercitazione, è l’avvocato Giorgio Gjylapian, che nella strage perse lo zio. Il frutto di una vita di ricerche è condensato nel libro "La cultura del silenzio" (Pendragon, 2020), che tornerà a presentare per il 45º anniversario mercoledì 4 giugno alle ore 21 al Centro culturale CostArena in via Azzo Gardino 48.
Infine, il 27 giugno alle 11.30 si terrà nella sala del Consiglio comunale l’incontro organizzato dall’Associazione parenti delle vittime con il sindaco Matteo Lepore, le autorità civili e militari e tutta la cittadinanza. A seguire «un programma molto denso di eventi che si terranno nel Parco della Zucca, dinnanzi al museo, e che, con i vari linguaggi dell’arte, ci condurranno fino al 10 agosto», conclude la presidente Bonfietti, la quale s’illumina spiegando che «a tutti gli artisti che partecipano chiediamo di usare il proprio linguaggio – la parola, la musica, la danza – per realizzare un pensiero su quello che a loro smuove questo luogo. Spesso sono molto giovani e hanno un ricordo tutto personale di questa tragedia».
Perché, a 45 anni da una strage ancora senza colpevoli e sul punto di essere di nuovo archiviata, oltre a non smettere mai di battersi per la verità, di indagare, di studiare, l’invito è a non sottovalutare il potere dell’arte e della condivisione di unire le persone, di fare da ponte tra le generazioni, di far sbocciare momenti di gioia dal dolore.
L'ex parlamentare Daria Bonfietti davanti al relitto del Dc-9 (Foto di Giulia Goffredi)