Chiesa

Il nuovo Papa affacciato su piazza San Pietro il giorno dell'elezione (foto Ansa)
Robert Francis Prevost, fino a pochi giorni fa, era un cardinale che pochi conoscevano. Agostiniano, nato a Chicago nel 1955 da una famiglia di origini italiane, francesi e spagnole. Una laurea in matematica, poi quella in diritto canonico a Roma. Il sacerdozio, le missioni in Perù, il ritorno negli Stati Uniti. Di nuovo a Roma, dove Papa Francesco, nel 2023, gli concede la porpora e lo nomina prefetto del Dicastero dei vescovi.
Le cose, la vita, le emozioni cambiano in fretta. Improvvisamente.Dal tardo pomeriggio dell’8 maggio 2025, Prevost non è più tutto questo o, almeno, non solo questo. Si è affacciato a sorpresa dalla Loggia delle Benedizioni della Basilica di San Pietro, di fronte a centomila fedeli e a centinaia di telecamere di tutte le televisioni del mondo.
È il nuovo Papa, eletto al quarto scrutinio da un Conclave durato due giorni. Un Conclave che ha scombinato le carte che vedevano favoriti Pietro Parolin, Matteo Maria Zuppi e Pier Battista Pizzaballa, in un ribaltamento di pronostici fissato dagli occhi commossi e dal “groppone in gola” di Leone XIV, il nome scelto, che con un italiano perfetto ha allargato le braccia e ha invitato «la pace ad essere con tutti noi».
Bologna ha sperato fino all’ultimo nell’elezione del suo arcivescovo Zuppi, diventato in queste settimane un fenomeno del web, con l'ironia, i sorrisi, le corse tra le vie intorno al Vaticano e le «apnee», a dimostrazione della sua riservatezza e della volontà di «andarsene dalla città solo quando i rossoblù vinceranno lo scudetto». Su Instagram e Tik-tok, i fan del cardinale si dividono tra delusi e sollevati. Perché è vero, Zuppi non è il nuovo Papa, «ma almeno lo vedremo girare ancora per il centro di Bologna con la sua bicicletta, in contromano». Bologna, una città che anche Prevost conosce bene. Era stato invitato nel 2023 al duomo di San Pietro per celebrare la discesa della Madonna di San Luca. Zuppi lo accolse dandogli del lei e il futuro Papa ricordò che «quando sono partito dal Perù, da una diocesi con un milione e duecentomila persone, mi chiedevo dove avrei ritrovato una comunità con tanta fede, devozione e celebrazione. Grazie alla generosità di sua eminenza, il cardinale Zuppi, che mi ha detto: venga a Bologna».
Ora la comunità è immensamente più grande, un miliardo e mezzo di cattolici, e sullo scranno di Pietro, Leone XIV apre un pontificato che porta il peso, fin dall’inizio, dell’eredità di Bergoglio. Di quei confronti che inevitabilmente pongono e porrranno a paragone i due Papi. Ma, soprattutto, i due uomini. C’è chi dice che l’elezione di Prevost sia una soluzione di compromesso, aperta al rinnovamento e allo svecchiamento della macchina politica e religiosa del Vaticano, quel tanto che basta da non scandalizzare eccessivamente i più conservatori. C’è chi parla di continuità con Francesco, chi di ritorno al passato. Prevost che ha scelto di indossare gli abiti della tradizione, rifiutati da Bergoglio. Prevost che avrebbe posizioni rigide e tradizionaliste sull’omosessualità e sull’eutanasia. Prevost aperto al dialogo e all’accoglienza sulle questioni migratorie. Prevost che avrà un compito estremamente difficile. Essere se stesso, agire secondo coscienza e nel nome di Dio, pur sapendo che il mondo intero ha ancora negli occhi e nel cuore l’immagine, le parole a volte dure, e le azioni del suo predecessore.
Una chiesa, quella di Leone XIV che sembra sin dalle prime battute lontana dal potere, incentrata sulla dimensione spirituale. «Gesù è ridotto a superuomo anche da molti battezzati e questo è un ateismo di fatto – ha detto durante la prima omelia celebrata nella Cappella Sistina il giorno dopo l’elezione -. Chi ha il potere deve farsi piccolo». Tra i tanti commenti di questi giorni, Bruno Vespa, contattato dal Quindici, si dice «sovraesposto» dopo la maratona di Porta a Porta che ha seguito il momento dell’elezione e della proclamazione, con il cardinale Bagnasco che ha sottolineato l’esigenza di un pontificato diretto «alla evangelizzazione e alla promozione umana. Sono le due coordinate della missione della Chiesa, tenendo conto che proprio la promozione umana, in tutte le sue forme, come ricordato dal Santo Padre, dipende e deriva dal Vangelo di Cristo».
Ma gli interrogativi sono tanti e, oltre agli aspetti religiosi e dottrinari che coinvolgono intimamente la varietà dei dogmi della Chiesa cattolica, la necessità della continuità si oppone al richiamo della tradizione, della gestione canonica del ministero di Pietro, del ritorno a un’impostazione più classica, richiamata e sperata da molti.
Il teologo Vito Mancuso non ha dubbi su un ritorno al passato, almeno a quel passato immediatamente precedente all'ascesa al soglio pontificio di Bergoglio. «È evidente sin dalla scelta di tornare a indossare i paramenti classici con stola e mozzetta. – ha detto al Quindici - e a mio avvisò tornerà nell’appartamento pontificio. I cardinali che l’hanno votato gli hanno affidato un mandato che deve dare maggiore sicurezza, un legame più stretto con la classicità che il pontificato di Francesco, con la sua effervescenza, aveva stravolto». Le sfide più grandi di Prevost, continua il teologo, sono due. «La prima riguarda la Chiesa cattolica. La seconda il mondo intero. Ebbene, governare un organismo così globalizzato come la Chiesa impone di prendere atto della lotta tra due fazioni opposte, quella dei conservatori e quella dei progressisti. Entrambe le correnti sono scontente. Da una parte i progressisti ritengono doveroso impegnarsi in una serie di riforme, a partire dalla questione femminile, e mi fermo qui. Dall’altra, ci sono i conservatori, che si dispiacciono già solo perché di queste cose se ne parli. Il problema è che non si tratta di singole persone, ma di Paesi interi. Tutto il Nord Europa, con la Germania in testa, attende che queste riforme arrivino. Un'altra parte del mondo, come la Polonia o l’Africa intera, considera l’idea di tali innovazioni come fumo negli occhi. Questa è la prima grande sfida del Papa. Allentare le tensioni tra i due schieramenti, farli dialogare. Da questo punto di vista, la scelta di un cardinale che era molto legato a Francesco, ma al contempo si presenta in maniera diversa se non opposta, sia nell’abbigliamento che nel modo di esprimersi, sembra quella giusta. Almeno sulla carta». L’altra sfida, sottolinea Mancuso, riguarda il mondo e la società nel suo complesso. Un mondo che «ha sì bisogno di pace, ma che prima deve risolvere l’inquietudine e il nichilismo che sempre più pervadono la mente dei contemporanei. Tenere salde le redini della chiesa e parlare al mondo non è semplice. Francesco è riuscito a fare la seconda cosa abbastanza bene, ma ha messo in subbuglio la Chiesa. Il rischio che corre Leone XIV è quello di parlare e agire sulla scia della tradizione, perdendo però l’appoggio del mondo». E a chi, prima del Conclave, considerava improbabile l’elezione di un Pontefice statunitense per i rischi di contrasti aperti con l’Islam e con la falange terroristica fondamentalista, Mancuso risponde che «tutto, ovviamente dipende dal tipo di Papa. Se si fosse eletto un papa ultra conservatore gradito a Trump e alla sua cerchia, non era fuori luogo ipotizzare una maggiore tensione sulla scena internazionale, anche in odine al terrorismo islamico. Con l’elezione di Prevost, non mi pare che questo rischio si corra. E lo si capisce anche dalla reazione dell’ala più estrema dei trumpiani che non sono così contenti. Scampato pericolo».
Come a dire che, in fin dei conti, un Papa deve essere prima un Uomo, che nel nome di Dio cerchi di avvicinare i più scettici a una fede che è sempre più difficile da trovare e da accettare, cercando di oltrepassare i limiti fisiologici di un’istituzione rigida e profondamente patriarcale qual è la Chiesa cattolica nel suo complesso. Una religione che, secondo Mancuso, «deve risvegliare l'umanità, senza possederla», al netto di tutte le contraddizioni e le idiosincrasie diluite e miscelate ai propositi di carità, di perdono, di redenzione, di assoluzione da peccati supposti “originali”, nel tedio di funzioni che rischiano di allontanare ancora di più, di separare definitivamente la dimensione umana da quella spirituale.
E quindi l'importanza della riscoperta della benedizione come fulcro dell'attività del pontefice. Quasi un'ovvietà secondo Alberto Melloni, storico delle religioni che, sull'indulgenza plenaria concessaa da Prevost dalla Loggia delle Benedizioni, si esprime nel senso della «assoluta ordinarietà della stessa, nel nome e nella tradizione delle benedizioni giubilari, una naturale conclusione dell'Urbi et Orbi». Sulle prospettive future del pontificato di Leone XIV, prosegue il professore, «non bisogna dimenticare che il cardinale Prevost è stato eletto Papa. E un Papa può agire come meglio crede, può fare ciò che vuole. È prematuro fare previsioni su quello che farà o che non farà. Ma non ci si deve dimenticare che quello che decide un Papa diventa norma».
Un Papa, Leone XIV, che non potrà rimandare e lasciare ai suoi successori la risoluzione di questioni che vanno affrontate ora, richiamando la necessità, espressa nel primo saluto al mondo, «di avere Cristo come luce per l'umanità. Lui come ponte per essere raggiunti da Dio e dal suo amore. Aiutateci anche voi a costruire questi ponti, con il dialogo, con l’incontro. Unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace».
L'articolo è tratto dal Quindici n.3 del 15 maggio 2025