diritti civili

La manifestazione davanti alla Prefettura (foto di Riccardo Ruggeri) 

 

«Da mesi viviamo nell'incertezza, senza risposte sui nostri documenti. Siamo state escluse dalla società afgana solo perché donne, non abbiamo identità politica né sociale. Per i talebani essere donna è una vergogna. Ora lo Stato italiano mi chiede, a Bologna e Modena, un certificato penale dal mio Paese, ma senza uno Stato riconosciuto non possiamo ottenere documenti ufficiali. Di fatto non esistiamo». Questa la surreale vicenda che racconta Mah Cherah, una delle donne presenti questa mattina davanti alla Prefettura di Bologna per protestare contro il cortocircuito istituzionale che blocca l’iter per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Con loro in Piazza Roosevelt, il capogruppo comunale di Coalizione civica, Detjon Begaj, il quale conferma che «il problema esiste da molti mesi e non è mai stato smentito dalla Prefettura. I funzionari della Digos hanno confermato che in Prefettura rispondono che il problema è noto e va risolto a livello centrale».

La vicenda riguarda una trentina di donne afghane residenti tra le Due Torri e la Ghirlandina. Arrivate in Italia con il ricongiungimento familiare tramite i loro mariti, che sono già cittadini italiani, le donne chiedono a gran voce che venga loro concessa la cittadinanza, dopo i due anni di residenza previsti dalla legge per le persone apolidi. Ma è tutto bloccato da una falla nella procedura. Non riescono, infatti, a ottenere questo diritto perché le Prefetture di Bologna e Modena, sostengono le manifestanti, chiedono un «certificato penale fatto dai talebani e legalizzato dall'Ambasciata». Due operazioni «semplicemente impossibili». Lo evidenzia Jan Nawazi, che vive a Bologna da 18 anni, titolare del ristorante Kabulagna, noto in città come esempio di integrazione, e che fa parte dell'associazione "Chehragh", nata un anno e mezzo fa per promuovere iniziative per le donne discriminate, come quella di questa mattina.

Nawazi parla chiaramente di «gioco contro le donne afgane, che diventano quindi vittime di discriminazioni e vengono così obbligate a tornare in Afganistan sotto la tortura dei talebani, «rischiando la vita a fare questo passaggio». E anche se riuscissero a ottenere questo documento, «chiedono una legalizzazione all'Ambasciata italiana che viene negata, perché ci dicono che il governo italiano non riconosce i talebani come rappresentanza e non possono dunque legalizzare nessun tipo di documento rilasciato da loro».

Un giro «rischioso e inutile», per cui alla fine i documenti comunque non arrivano, mentre, ricorda Nawazi, «fino a un anno fa andava bene anche il famoso atto notorio, che presentano i rifugiati politici e apolidi senza rappresentanza. In teoria dovrebbe andare bene anche a loro. Ma questa è una cosa che riguarda solo Bologna e Modena, in altre città non è così. Non sappiamo perché. Vogliamo chiedere un chiarimento alla Prefettura per questo motivo».

Numeri destinati drammaticamente a crescere, perché «noi afgani siamo residenti a Bologna da quasi 20 anni e la maggior parte di noi diventa cittadino italiano, solo nell'ultimo anno abbiamo cinque nuovi cittadini». Intanto, però, la procedura non si sblocca. «Sono una donna afgana che viene da un paese che non ha conosciuto altro che dolore e sofferenza e lotta - continua Chehrah - noi donne rifugiate siamo forse tra le più fortunate, siamo riuscite a fuggire. Desidero esercitare il mio diritto di diventare cittadina di un paese che conosce il valore e la dignità delle donne, ma dopo il crollo del governo afgano ci siamo trovate smarrite come persone che esistono ma non appartengono a nessun luogo di questa terra».

Detjon Begaj, a margine della protesta, ribadisce la necessità di aprire un dialogo con le istituzioni per trovare una soluzione a questo problema. «Il fatto che i talebani hanno preso il potere in Afganistan e le persone fuggono da quel paese e cercano rifugio qui a Bologna non può essere qualcosa che può essere pagato da queste donne. Hanno il diritto di essere protette, di ottenere la cittadinanza, di scegliere di vivere qui e avere delle risposte adeguate da parte del ministero e della prefettura. Non possiamo far altro che chiedere alla prefettura di dare delle risposte e ci attendiamo che questo avvenga e che questa situazione venga risolta una volta per tutte».

Il consigliere rilancia il tema della cittadinanza, che sarà una dei quesiti chiavi del referendum del prossimo 8-9 giugno. «Siamo in tante e tanti impegnati nella campagna referendaria, il tema della cittadinanza chiaramente ha molte sfaccettature. È una questione che apre tante contraddizioni e quando succedono cose come questa apre ancora di più le problematiche. Però, a pagarne il prezzo sono sempre poi le persone più fragili».