maternità

Una donna con suo figlio (foto Ansa)
Anche le madri intenzionali (cioè quelle non biologiche nelle coppie di donne) avranno il diritto di essere riconosciute come madri fin dalla nascita dei loro figli, qualora ricorrano alla procreazione medicalmente assistita (Pma). La storica sentenza della Corte Costituzionale, depositata giovedì 22 maggio, mette sullo stesso piano per la prima volta sia la madre intenzionale che biologica, in nome della genitorialità basata sulla responsabilità e non sul legame biologico.
Alla base della pronuncia c’è l’incostituzionalità dell’articolo 8 della legge 40 del 2004, che non consente il riconoscimento automatico della madre intenzionale nei casi di Pma effettuata all’estero da coppie di donne. Dunque, in mancanza di una legge, la Corte è intervenuta per porre fine alla violazione dei diritti del minore e dei principi di uguaglianza e non discriminazione che la normativa permetteva.
Tutto ciò è scaturito dall’atto di nascita di un bambino di Lucca che, essendo nato da una coppia di donne dopo una Pma svolta all’estero, riportava sia il nome della madre biologica che quello della madre intenzionale. Secondo la normativa allora in vigore, la Procura aveva impugnato l’atto perché la madre non biologica non veniva riconosciuta come tale, mentre ora quest’ultima sarà riconosciuta a tutti gli effetti come genitrice per proteggere l’interesse del minore.
In particolare, il testo della sentenza recita che tale interesse «consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e la madre intenzionale – che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione assistita». In altre parole, se le coppie di donne ricorrono alla Pma all’estero, ciò che sussiste per le coppie eterosessuali deve valere anche per le controparti omosessuali, senza costringerle a ricorrere alla stepchild adoption (l'adozione congiunta), come accadeva prima. Tuttavia, pratiche come "la gestazione per altri" rimangono ancora vietate, in quanto si tratta di «una pratica che offende la dignità della donna» mentre, nel caso della Pma, «non arrecherebbe offesa alla dignità della donna, né comporterebbe il rischio di lesione di altri valori costituzionali».
Come mai, però, la Corte Costituzionale si è pronunciata solo sulle coppie di sole donne, e non su quelle di soli uomini? Perché la Consulta può intervenire solo su questioni sollevate da un giudice in un processo in corso e qualsiasi decisione presa non può estendersi a casi giuridici esterni a quello delle genitrici di Lucca, come altre coppie di soli uomini. Per intervenire sulla questione, dunque, sarebbe necessaria una legge ordinaria.