Musica

Morgan è nato a Milano 23 dicembre 1972 (foto di Alberto Biondi)

 

Marco Castoldi, in arte Morgan, porta sulle sue spalle il peso delle mille sfaccettature di un’anima d’artista. Piaccia o meno. Personaggio discusso, sopra le righe a volte per natura, a volte per finzione. Chi lo sa. Il confine è sempre e in ogni caso piuttosto labile, mai tranciato di netto, nella predisposizione ostentatamente “baudelairiana” del genio e della sregolatezza, come un “fiore del male” che cerca di sbocciare, di surclassare i fili d’erba che gli stanno intorno.

Il rischio però è alto, il prezzo da pagare ancora di più.

Perché vedete, una personalità (cosa che Morgan indubbiamente ha ed è) che rischia di trasformarsi e trasfigurarsi definitivamente in un personaggio è più pericolosa di un personaggio che vuole dare sfoggio di una personalità che non ha. Il dubbio rimane, forse è proprio quello che Morgan vuole.

E allora, eccolo un po’ filosofo, un po’ santone, perennemente controverso nel suo spaziare con una facilità disarmante dalla musica punk a Fabrizio De André, dalla pedagogia a Carmelo Bene, dalla “ossessione delle sue manie” (per dirla alla Battiato) alla musica classica.

Così, con una sigaretta in bocca, gli ultimi spettacoli nei club del 2025 li apre con la sonata n.2 per pianoforte di Ravel. Un ringraziamento a quella musica che l’estate scorsa, a sentir lui, gli ha salvato la vita.

Raggiunto nella hall di un albergo di Bologna si racconta al "Quindici" e sciorina le parole come un fiume in piena che porta dietro di sé qualunque cosa. Detriti, carabattole ma anche gingilli preziosi. A volte.

E chi lo ferma più. «L’estate scorsa mi hanno annullato tutti i concerti in programma e mi sono trovato da un giorno all’altro senza far nulla. L’occasione giusta per sedermi al pianoforte e imparare a memoria questo pezzo difficilissimo. Oggi sono fiero di poterlo suonare dal vivo». E assicura: «Non lo faccio per vanto, lo faccio per dimostrare la mia gratitudine verso la cosa più importante della mia vita. La musica».

Perché Morgan, di periodiacci ne ha passati. Vuoi perché “se l’è andata a cercare”, vuoi per ingenuità, o per deliberata coscienza, poco importa. Ciò che conta è che «proprio in quei momenti in cui sembra che non ci sia più nulla da fare, in cui il gesto estremo del suicidio sembra dietro l’angolo, ecco che all’improvviso mi ricordo di essere vivo. Che posso ancora cantare, suonare, ascoltare e anche invidiare gli altri».

Un’invidia costruttiva, si badi bene, perché a sentire lui «è veicolata nella direzione di un’emulazione disinteressata, con una fame di imparare e di migliorare giorno dopo giorno, come un bambino che apprende nuove cose, magari sbagliando».

E, qui, diventa un po’ pedagogo e sullo scranno del saggio dell’eremita (e del predicatore delle sperdute campagne statunitensi) invita i genitori «a non reprimere gli istinti a volte violenti e crudeli dei propri figli. Perché è proprio con l’inibizione di queste naturali pulsioni che si fanno i danni più grossi, con tutto ciò che ne consegue in età adulta, con la violenza vera, la cattiveria».

E chissà, al di là di tutto questo, quali desideri riempivano le giornate del Morgan bambino, quali sogni animavano le notti del futuro cantautore, quali pensieri gli passarono per la testa quando a quindici anni dovette raccogliere le energie per superare il suicidio del padre. Esita pochi secondi, gli occhi sotto gli occhiali scuri si fanno più attenti e si descrive come «un ragazzino tranquillo. Non ho mai frequentato la strada. Stavo in casa a studiare e a suonare e mi sono sempre sentito libero».

Una libertà che non è possibile ricercare in nessun altro posto se non nelle profondità della propria coscienza, stando attenti a non divenirne paradossalmente prigionieri. Prigionieri della libertà, che sembra un ossimoro ma è quanto di più vicino possa accadere a chi la libertà la ricerca forsennatamente ovunque, con la smania di trasgredire regole che, in fondo, non sono altro che limiti di pensiero. E di parola. Ormai adulto, nel 2007, scrive e pubblica il brano “Contro me stesso”, un inno alla difficile condizione degli incompresi, di quei cercatori d’oro che non si arrendono di fronte alle delusioni e agli ostacoli che la vita, impietosa, ti sbatte in faccia ogni giorno. «E proprio qui sta il punto. Sarò sempre “contro me stesso”, mi mando “affanculo” ogni giorno e non rimpiango nulla di ciò che ho fatto e di quello che farò. Essere contro me stesso significa essere libero e se non combattessi tutti i giorni con ciò che sono sarebbe come rinnegare tutta la mia esistenza».

E a questo punto provaci tu, con tutte le forze, con tutta la buona volontà. Provaci tu e vallo a spiegare ai suoi colleghi musicisti «che magari mi chiamano, sembrano entusiasti e poi si tirano indietro, hanno paura che mi dimentichi gli appuntamenti, sono fissati con il tempo, con la puntualità, non capendo che l’artista comanda il suo tempo e non il contrario».

E, di male in peggio, guai a chiedergli se si senta boicottato dal mainstream e dalle case discografiche. Senza tanti giri di parole, come un oratore di fronte a una platea di plebaglia confusa e inconsapevole, declama: «Non è questione di sentirmi ostacolato e ostracizzato. Lo sono e basta, ma va bene così, ci ho fatto l’abitudine.»

A tal punto che viene naturale chiedersi se di quel successo, Morgan abbia un po’ paura e, alle volte, faccia di tutto per mostrarsi diverso da quello che in realtà è. Più oscuro, più tenebroso, un poeta maledetto dei tempi contemporanei a metà strada tra il vampiro e la strega cattiva di una fiaba sempre di moda. Che lo faccia per emulare e concretizzare l’immagine stereotipata dell’artista fuori dagli schemi. Che si consideri un uomo di un altro pianeta, così un po’ alla leggera, per sfuggire dai gangli e dai gangheri della società impietosa in cui ci troviamo a vivere. Insomma, il sottile dubbio che abbia studiato a tavolino il suo modo d’essere a tutti i costi irriverente, a tratti cervellotico, a tratti ancora più marcati perdutamente rivoluzionario, beh questo sottile dubbio rimane. Che non sia stato abbastanza forte e abbastanza coraggioso da esprimere al meglio il suo talento, quel fuoco dentro che sente di avere e di possedere. Un po’ come David Sylvian dei Japan, che all’apice della fama, del successo, dell’abuso di sostanze stupefacenti e di chissà cos’altro, si tirò indietro, sciogliendo il gruppo e ritirandosi a una vita semi privata. «Paura del successo? È esattamente il contrario. Io il successo l’ho cercato e lo cerco tutti i giorni, sono un uomo di spettacolo, sul palco posso esprimermi come voglio. Ed è proprio lì che divento finalmente un uomo libero. Quello che veramente sono».

 E saranno contenti i futuri allievi della sua scuola milanese per cantautori che ha aperto le sue porte qualche settimana fa, attraverso un post su Instagram che invita i futuri cantautori del belpaese a mandare una mail con la propria candidatura. «Venti iscritti con un obiettivo: in un mese di masterclass imparare a scrivere il testo di una canzone. Un’ambizione grande, un progetto a cui tengo molto».

Come tiene, peraltro, alla sua resa in scena e, in fin dei conti, a fare una bella figura. Perché, a dirla tutta, ciò che più colpisce di Morgan, quando la telecamera si spegne è la dimensione profondamente fanciullesca, con tutti i suoi pro e tutti i suoi contro, che emerge da sotto il completo total black che indossa, da sotto il cappello a falde larghe. La maschera dell’eversivo, del contestatore a tutti i costi, dell’anima dark, quegli gli occhiali scuri che cadono all’improvviso e, lì, vedi l’uomo, con le sue insicurezze e le sue paure: «Ho cantato bene negli ultimi concerti? Come è venuta “Il cantico dei drogati” di De André? Io mi sono divertito, e quando vengo a Bologna sento una bellissima energia».

E Bologna, sì, ha proprio una bellissima energia. Un “Altrove”, per citare uno dei suoi brani più famosi, dove sentirsi veramente liberi, sicuri che, proprio lui, Morgan, abbia “deciso di perdersi nel mondo”. Che ne vale la pena.

 

L'articolo è tratto dal Quindici n.3 del 15 maggio 2025