L'omaggio

Renato Zangheri, la moglie Claudia Dall'Osso e il figlio Renatino a Bologna nel 2003 (foto concessa dal Centro Studi e Ricerche Renato Zangheri) 

 

Claudia Dall’Osso ha vissuto per trent’anni a fianco di Renato Zangheri, ha condiviso i momenti di studio, di politica e di ricerca del marito. Un matrimonio, celebrato a San Marino nel 1992, all’insegna della conoscenza e dell’autoironia, la famiglia come meta finale del sapere, tra le letture di Dante e di Goethe. «Un uomo che non è mai salito in cattedra, modesto, mai cinico».

 

Tutti conoscono la dimensione pubblica di Renato Zangheri. Lei l’ha vissuto nella dimensione più privata.

«Renato, io l’ho conosciuto con il passare degli anni. Siamo stati insieme trent’anni e abbiamo avuto un figlio che adesso studia in Giappone. Lui, Renatino, è l’incarnazione di quello che Renato, suo padre, è stato nella vita. Anche nella sfera familiare è riuscito a trasmettere un valore fondamentale».

 

Quale?

«Il concetto della conoscenza e della cultura come elemento centrale non solo della politica, ma soprattutto della vita privata. Renato ci ha lasciato questo: l’educazione ai sentimenti. La certezza che proprio il sentimento e la costruzione di una famiglia traggono beneficio dalla conoscenza, dalla lettura di testi importanti. Confrontarsi con Dante o con Goethe significa concepire i sentimenti in maniera diversa rispetto a chi non ha avuto la fortuna di averli letti».

 

Quindi possiamo dire che è stato anche un suo maestro di vita?

«No, non è mai stato un maestro di vita. Non voglio essere fraintesa. Quello che voglio dire è che Renato non amava mettersi in cattedra. La trasmissione di questi concetti, di questo modo di intendere la vita era proprio naturale, sgorgava senza la necessità di modi baldanzosi di dire “Mo’ ti spiego com’è la vita”. No, non era lezioso e pedante e non amava spiegare. Le sue considerazioni sull’umanità, le sue lezioni, emergevano perché lui era molto umano e poco cinico».  

 

Una rarità ormai, soprattutto in politica

«Lui usava spessissimo la parola “modestia” e io gli dicevo: “Ma Renato, perché fai sempre riferimento alla modestia, che ti fa sembrare ancora più superbo?”. In realtà poi ho capito che lui era davvero modesto. Ci credeva tanto».

 

Lei gli è stata accanto anche in una fase molto complessa per il futuro del partito comunista. Cosa ricorda di quel periodo?

«Quando morì Enrico Berlinguer lui era tra i candidati alla successione. Non lo elessero e io gli chiesi il motivo. Lui fece una pausa e mi rispose: “Per essere segretario, bisogna credersi molto”. Ecco, questa risposta è molto indicativa di chi fosse davvero Renato. Era un modo per dire che per fare le cose bisogna perseguirle, lui invece è sempre stato chiamato ad affrontarle e a risolverle».

 

L’impegno politico ha influito sulla vostra vita familiare?

«No, perché è sempre stato un suo desiderio quello di conciliare lo studio e una famiglia che condividesse quello studio. Non ci ha mai tolto nulla e la nostra vita è sempre stata all’insegna della naturalezza e dell’autoironia».

 

Cosa le manca di più di Renato?

«Il grande amore della mia vita. Questo mi manca».