Coppa Italia

Foto di Alberto Biondi

 

 

Il triplice fischio è appena arrivato e Piazza Maggiore è vuota. Nell’aria però si sente già la voglia di festeggiare dei diecimila tifosi che stanno lasciando case, pub, bar e maxischermi per unirsi tutti insieme sotto il Nettuno. La bancarella con le magliette e sciarpe con scritto “Bologna campione” c’è già, in barba ai gufi e agli scaramantici che sui pronostici non si sbilanciano mai. I faretti di Palazzo Re Enzo si illuminano di rosso e blu, il Comune si accende e certifica che il sogno è diventato realtà. Finalmente qualcuno arriva, con una felpa acetata bianca del Bfc, dondolando su una bicicletta. Inizia a esultare, quasi disperato: «Bologna, Bologna!». Pochi minuti dopo di lui si sentono i clacson delle prime macchine su Via Ugo Bassi, con sportelli aperti e braccia che reggono fumogeni. I motorini si fanno largo tra la folla, bandiere al vento e braccia al cielo. La festa inizia sulla novità, sopra le rotaie del tram sulle quali c’è chi ci si sdraia stringendo una sciarpa e chi ci si inciampa, preso dalla frenesia di mettersi sopra il Crescentone, suolo sacro. I gruppi di ultras preparano la folla, lo scoppio di un petardo dà il via ai cori, chi è abbastanza agile si mette a cavalcioni sulla cancellata a protezione del Nettuno. I festeggiamenti sono cominciati, dopo 51 anni Bologna torna a sollevare una Coppa Italia, un sogno, un miracolo.

Durante questa finale però il popolo bolognese è diviso, non nella fede ma nel luogo. Alle diciotto di mercoledì i noti trentamila di Roma hanno iniziato la propria marcia. Lo Stadio Olimpico ha iniziato il proprio canto di sirena, che raduna i bolognesi sullo scoglio di Ponte Milvio. I gruppi di amici in trasferta si fanno le foto ricordo, c’è chi scherza e chi ha un sorriso tirato. Da lì è iniziato l’incantesimo, che non si è spezzato nemmeno quando capitan De Silvestri ha sollevato la coppa al cielo quasi sei ore dopo. Vittorio, 23 anni e abbonato ormai da tempo, racconta: «Non sono a Roma, sono a Bologna. Sembra di essere al Dall’Ara, c’è odore di ultras come in curva. E non eravamo ancora neanche arrivati allo stadio». Roma come Bologna, mentre chi è a Bologna sogna Roma.

Chi è rimasto in città si è radunato davanti alla televisione. In Montagnola i posti a sedere sono occupati dalle tre di pomeriggio, mentre il Dlf e Pontelungo attendono le macchine di chi scappa dal lavoro per assicurarsi un posto in prima fila. Dopo dieci minuti dal calcio d’inizio in Piazza Lucio Dalla prima si sussulta e poi si esulta alla doppia parata di Skorupski sulle deviazioni, prima goffa di Beukema e poi pericolosa di Jovic. Tra due ali di persone in piedi, la platea seduta per terra ondeggia con il passare del tempo. Ogni tanto qualcuno si alza, viene fulminato collettivamente con lo sguardo e si risiede. Dalle casse escono forti e chiari i cori dell’Olimpico. Ogni volta che si sentono quelli dei tifosi rossoblù chi è davanti allo schermo inizia a cantare, perché questa è “La notte dei miracoli”. Poi tutta la tensione esplode in esultanza al gol di Ndoye, che costringe pure i seduti a schizzare in piedi. Nessuno però si abbandona a un’esultanza sfrenata, troppo rischioso. La paura di vedere il miracolo sfuggire c’è, chi può sorseggia nervosamente la birra mentre a ogni azione pericolosa tutto il pubblico si alza in punta di piedi, trattenendo il respiro. Il triplice fischio fuga ogni dubbio, è festa e felicità. Un ragazzo lancia al cielo il suo capello, prima di lanciarsi tra le braccia dei suoi amici. Qualche tifoso milanista scuote la testa e si dilegua. C’è anche chi si guarda intorno, incredulo. Sono tutti d’accordo su una cosa: tutti in centro, tutti in piazza.

A Roma intanto sono passati trenta minuti dalla fine della partita decretata dall’arbitro Mariani ma, mentre nel capoluogo emiliano sono tutti già per strada a esultare, nessun bolognese si è mosso dagli spalti dell’Olimpico. I giocatori sono ancora in campo, esausti e contenti sotto lo sguardo dei tifosi. Non vogliono andare via come il presidente Joey Saputo, visibilmente emozionato mentre stringe tra le braccia la sua prima coppa, o come Cesare Cremonini mentre mastica in bocca le parole di Lucio Dalla e stringe gli occhi sotto i fari dell’Olimpico. Ancora al proprio posto c’è Alessandro, interista ma bolognese, perché per questa partita l’unica scelta possibile è quella rossoblù: «Nessuno voleva andare via. C’era gente che piangeva, tutti emozionatissimi. Io ero stanco, ma ero lì a godermi il momento. Siamo andati via solo quando ci hanno praticamente cacciato». Il rientro per i vincitori è stato faticoso ma felice, lento ma leggero. Come quello di Guido Magnisi, avvocato e appassionato bolognese: «Una suora che era per strada si è congratulata con noi, ci ha detto che siamo stati bravi», racconta, con una capitale felice, per chi nella capitale stessa ha trovato una felicità fuori dal comune. L’avvocato prosegue: «Ho avuto la sensazione che Davide abbia battuto Golia. Noi “piccoli” bolognesi siamo finiti nella metro, appoggiati uno sopra l’altro, legati dall’affetto e dai colori». Momenti che accompagnano una vita, che valgono il prezzo di un biglietto.

Un anno dopo la festa per la qualificazione in Champions League, il popolo unito da Vincenzo Italiano e la sua squadra ha festeggiato di nuovo. La prossima tappa per i supporters sarà Casteldebole, per dare un primo abbraccio ai giocatori, in attesa della parata e di vedere la Coppa brillare alla luce del sole.