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Il cantiere di via Indipendenza (tutte le foto sono di Alberto Biondi)

«Bologna, ogni strada c’è una buca. Chissà se in questa strada si può entrare oppure no. Ah no, c’è Sirio, ma che due maroni. Bologna, sai, mi sei mancata un casino», cantava Lucio Dalla in quel brano “Dark Bologna”, del 2006. Una dichiarazione d’amore e di nostalgia, a tratti una dichiarazione di rabbia per una città che è assediata da cantieri del tram, di rifacimento del manto stradale, di tutela del patrimonio artistico. Oggi più di allora.

«Noi siamo semplici soldati – dice un lavoratore del cantiere di via Indipendenza – e i lavori procedono bene. Andiamo avanti e quello che ci ferma sono i ritrovamenti dei reperti archeologici. Ovunque scavi, in centro, ne trovi». «Non abbiamo mai ricevuto lamentele dirette – racconta l’ingegnere responsabile -, ma ci tengo a dire che siamo qui per qualsiasi esigenza dei cittadini e di chi abita in prossimità del cantiere. Stiamo rispettando la tabella di marcia e più veloci di così non possiamo andare». Due facce della stessa medaglia, insomma. Chi di quei cantieri è un po’ il custode e chi sembra non voler sentire ragioni. Protagonisti di un viaggio accidentato, è il caso di dirlo, per le vie della città, tra chi aspetta con impazienza la conclusione dei lavori e chi (pochi) si rassegna e spera nella bellezza di quello che Bologna diventerà. Con il suo tram, i nuovi sampietrini, un asfalto nuovo di zecca e le torri che di somigliare a quella di Pisa si sono ormai stancate.

Certo, intenzioni tutte buone e nobili. Sulla carta fioccano come neve le strategie di innovazione, di adeguamento alla modernità con trasporti pubblici a zero emissioni e di riqualificazione del suolo urbano. Ma a farne le spese e a sentire quella nostalgia di una Bologna che, nel bene e nel male, non c’è più, sono i cittadini che di quei quartieri costituiscono l’anima pulsante. Chi ci abita, chi ci lavora e magari gestisce un negozio storico (quando ancora ci si muoveva con i cavalli e a bordo di carrozze scintillanti), chi ci passa di sfuggita. Tra chiusure, transenne, barriere fonoassorbenti, piccole medie grandi buche, voragini, crateri e umarell che, ormai di tutte le età e con le immancabili mani giunte dietro la schiena, fanno capolino con le loro testoline dalle barriere che reclamano una certa privacy. E vorrebbero consigliare come posizionare quella trave, quella rotaia che tanti problemi causa ai ciclisti, la pensilina un po’ più a destra, il nuovo semaforo leggermente più in alto.

 

Via Indipendenza

«Il tram di superficie sarà davvero più veloce? Se il traffico c’è, – dice Marco del bar Impero, oggi costretto tra le barriere che spezzano in due via Indipendenza – la situazione non penso che cambierà più di tanto. Se avessero fatto la metropolitana sarebbe stato diverso. Sarà convenuto a qualcuno e non dico a chi».

E tra avventori di passaggio che bevono il caffè al volo e coraggiosi avventurieri che si accomodano ai tavolini del dehors con vista cantiere, romanticamente appoggiati alle soffici barriere antirumore, Alessandro, un altro dipendente dello storico locale, non si fa troppi problemi a considerare la situazione attuale «un disastro. E non tanto per noi che, come cooperativa, ci salviamo, quanto per gli esercizi commerciali più piccoli. Hanno già chiuso in tanti e noi, nonostante un calo innegabile dei clienti, resistiamo grazie ai fondi che abbiamo a disposizione. Il vero problema è che tutti si stanno chiedendo se questo tram serva davvero a qualcosa».

Gabriele, gestore della Baita della Vecchia Malga, dietro piazza Maggiore, bevendo di corsa l’ultimo goccio d’acqua è «arrabbiato nero. Ma io dico, vi sembra possibile che da Calderara al centro io stia in macchina ogni mattina per un’ora e mezza? Ho un garage proprio dietro la Baita e per arrivarci è un’impresa. Io penso non tanto ai bolognesi, che ormai in centro non vengono più, ma ai turisti. Si trovano davanti una città disastrata».

Via Indipendenza all'altezza del Bar Impero

 

Una città che secondo Matilde, figlia della proprietaria dell’antichissima Cappelleria Trentini, in attività dal 1835, è «diventata agghiacciante. Grazie a questo nuovo cantiere qui davanti, posso dire che noi non lavoreremo per due anni. La gente non può passare agevolmente da un lato all’altro della via e dobbiamo sperare che imbocchino il portico giusto. Non parliamo poi dell’amministrazione comunale. Non stanno facendo niente per aiutarci. Ci hanno abbuonato trenta euro di Tari che pagheremo lo stesso per protesta. E parliamoci chiaro, quello che stanno costruendo non è un tram, è un treno».

 

La Cappelleria Trentini 

 

Ling, del ristorante La Cina, a pochi passi dal cantiere, con il sorriso e la calma tipica dei cittadini cinesi, all’esatta metà strada tra la rassegnazione e lo stato d’animo di chi non ce la fa più, racconta che «da quando la via è in queste condizioni, il numero dei clienti del nostro ristorante è diminuito notevolmente e anche il fatturato è calato. Spero che i lavori finiscano il prima possibile».

 

Ling e la madre, del ristorante La Cina

 

Via Ugo Bassi

La speranza, insomma, non va mai persa. E risalendo via Indipendenza verso piazza Maggiore, imboccando il lato giusto del portico, quello di destra, appare in tutto il suo nuovo splendore via Ugo Bassi. Sarà anche bella, nessun dubbio, ma quelle rotaie che tanto fanno discutere i ciclisti sono le protagoniste incolpevoli dei capitomboli, delle cadute rovinose sull’asfalto, delle ruote che vanno a infilarsi proprio lì dove non devono. Federica Gambini, proprietaria del negozio ottico omonimo, il dente avvelenato ce l’ha ancora. «Voi giornalisti avete fatto decine di articoli quando la via era chiusa. E adesso venite qui con il sorrisino a chiedermi “Signora è contenta della riapertura della via?”. Ma per favore, posso dirlo? Fa cagare. La chiusura ha portato con sé una sporcizia indicibile e chiamavamo noi quelli di Hera. I corrieri, approfittando delle transenne, non scaricavano le merci. Non c’era nessun controllo sul territorio e siamo diventati il “pisciatoio” della città. Non abbiamo avuto nessun sostegno economico dal Comune e questa politica cittadina, che si vanta di fare tanto per gli altri, non ha fatto niente. I portici si illuminavano a tarda sera e se non ci fossimo stati noi con i nostri negozi sarebbe stato tutto ancora più buio. I vigili sono scomparsi e sono aumentati gli spacciatori. Gente che corre in bicicletta e che rischia di travolgerti. Dove finiremo? Le rotaie le avevano tolte quindici anni fa proprio perché i ciclisti cadevano. Ora siamo tornati indietro. Che senso ha chiedermi adesso se sono contenta? Siamo ancora qui solo perché siamo emiliani e siamo gente in gamba».

 

L'ottica Gambini

 

Anna, della farmacia Zarri, il dente avvelenato se l’è tolto qualche mese fa e «ormai il peggio è passato – dice -, è stato un periodo devastante, noi del quartiere ci siamo aiutati l’un l’altro e siamo stati portavoce di quello che accadeva. Siamo una farmacia di passaggio e sicuramente abbiamo perso tanti clienti. Ora guardiamo al futuro».

 

La farmacia Zarri

 

San Felice e Riva Reno

Già il futuro. Perché non fai in tempo ad assimilare la nuova lucidità di via Ugo Bassi che proprio al fondo, quando ti stai abituando all’insostenibile scorrevolezza delle auto, delle biciclette e dei pedoni, ecco che  appare all’orizzonte il caos di via San Felice, come una dea spezzata in due, riversa su se stessa. Una dea che rinascerà più bella di prima, secondo Simone, proprietario da venticinque anni del negozio di abbigliamento Supper Club. «Arrabbiarsi non è l’atteggiamento giusto, anche se è innegabile che l’afflusso di clienti è diminuito. Guardando a quello che hanno realizzato in via Ugo Bassi sono speranzoso. Sarà tutto più bello di prima».

 

Il negozio di abbigliamento Supper Club

 

Entusiasmo che più ti avvicini a Riva Reno più diminuisce, inversamente proporzionale alla polvere e al rumore. Una formula matematica che ti aggroviglia i pensieri. «È un incubo – racconta Ilda Mauri che abita proprio sopra il cantiere – e quando arriviamo non sappiamo neanche dove parcheggiare. Adesso abbiamo in programma dei lavori in casa, ma è tutto sospeso perché l’impresa edile non saprebbe dove scaricare le macerie. La sera ormai non usciamo più. Con tutte queste barriere e senza via di fuga tra un portico e l’altro, abbiamo paura. Non entro nel merito dell’utilità dell’opera, ma mi sembra tutto molto difficile». Il pane, però, Ilda lo compra ancora al Forno Valentini, quasi nascosto tra un escavatore e un bagno chimico. Dietro al bancone c’è Nicola che sconsolato ammette: «Sì, non posso dire il contrario. Si lavora un po’ meno e ci sono rumori e polvere. Piuttosto che farmi il fegato amaro preferisco accettare le cose come stanno. Speriamo che questi sacrifici portino a qualcosa di utile».

«A proposito di utilità – dice Micaela, proprietaria della Trattoria da Me -, non ho ancora capito se ai lati della strada, quando finiranno i lavori, ci saranno i parcheggi per le macchine. Noi stiamo come prima, a dir la verità. I turisti si muovono a piedi, i bolognesi già non venivano, e poi abbiamo una convenzione con la cooperativa di radiotaxi. Ci lasciano i clienti fin dove possono arrivare con l’auto e, insomma, cosa vuole che le dica? Spero solo che sia tutto meraviglioso. La mia più grande preoccupazione era la questione della sicurezza la sera. Abbiamo chiesto al Comune di non coprire totalmente le barriere con i pannelli fonoassorbenti, perché avrebbero diminuito luminosità e visibilità. Ci hanno ascoltato. Il sindaco Lepore è passato lunedì e mi sembra che si stiano adoperando quando più possibile per contenere i disagi».

Disagi che proprio in via San Felice, il signor Beppe, padre dello chef dello stesso ristorante, aveva visto già parecchi anni fa «quando fecero un disastro per rimuovere le rotaie e per interrare il canale».

 

Micaela della Trattoria da Me

 

Il passato come un cerchio infinito che ritorna, nuove esigenze che poi sono vecchie come il mondo. Gli stessi problemi, gli stessi malumori, lo stesso entusiasmo. Quando c’è. E torna anche Lucio Dalla, con la sua “Dark Bologna”, che si sveglia di colpo, «più stanco, più solo. Mentre il cielo schiarisce accendo il motore, guardo nello specchietto e vedo riflessa con un po’ di dolore Bologna. Col rosso dei muri alle spalle che poco a poco sparisce. Metto la freccia e vado sulla Luna».

Magari in tram.