terza età

Stefano Zamagni (foto Ansa)
Per Stefano Zamagni, economista ed ex presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, c'è un grave errore nella proposta di finanziare l’assistenza agli anziani con un contributo annuale dagli over 65 (tra i 200 e i 600 euro), come suggerito dall’assessora regionale al Welfare Isabella Conti, che per altro ha poi precisato che non fosse una proposta, piuttosto una riflessione per aprire un dibattito sul tema, come si legge nell'articolo qui sopra a firma di Riccardo Ruggeri. L'errore, secondo l'economista, è a monte dell'idea e sta esattamente «nella visione miope con cui si affronta il tema». La suggestione lanciata da Isabella Conti ha non a caso acceso il dibattito sul futuro del welfare italiano, trovando subito una sonora bocciatura per esempio dalla Cgil. «Continuiamo a pensare – rincara la dose Zamagni – che il finanziamento della sanità, in senso ampio, debba essere ottenuto con le tasse ma questo, oltre a essere una grande idiozia, non è più possibile», sostiene con forza il professore.
Zamagni propone invece un modello già in uso in altri Paesi europei: “Industry health model”, in cui anche il mondo delle imprese partecipa attivamente al sostegno del sistema. «Bisogna che tutto il mondo delle imprese – il farmaceutico, chi produce dispositivi clinici, come esempio – contribuisca come d’altronde già succede in altri settori dell’economia. Se ci intestardiamo a finanziare queste iniziative solo con la tassazione, arriveremmo a una rivolta popolare. Dopo un certo livello, la pressione fiscale esplode. Le imprese i soldi li hanno, e sarebbero disposte a contribuire, ovviamente in proporzione alle rispettive capacità», spiega Zamagni.
Ma il problema, secondo il docente, non è solo economico. Alla base c’è una transizione demografica «straordinaria» e in gran parte ignorata dalla politica. «Il tema dell’assistenza agli anziani in Europa è dibattuto da almeno vent’anni. In Italia, invece, se ne parla solo ora. Come sempre, arriviamo in ritardo. L’allungamento della vita e la diminuzione della natalità creano uno squilibrio strutturale che era prevedibile. Ma, come spesso accade, si è pensato di buttare la polvere sotto il tappeto», chiosa Zamagni.
L’economista non risparmia critiche alla visione tradizionale della pensione e del lavoro. Secondo lui, il vero nodo è culturale. la convinzione che il lavoro sia solo fatica e che la pensione debba coincidere con l’inattività «è sbagliato». «È una violenza tenere gli anziani in pensione a fare nulla. E come tutte le violenze, è destinata ad avere risultati infausti. Chi dice che a 65 anni si va in pensione per riposarsi è un delinquente. È vero esattamente il contrario».
La chiave, per Zamagni, è rivalutare il ruolo sociale e personale del lavoro per gli anziani autosufficienti. «Abbiamo evidenze cliniche che dimostrano come il lavoro – non quello mercificato, ma quello con la L maiuscola – sia fondamentale per la salute fisica e psichica dell’anziano. Togliere a una persona questa possibilità, per poi dargli assistenza passiva, è come infliggergli una ferita e poi mettere un cerotto. Meglio non fare la ferita».
Serve dunque una nuova politica di welfare. A tal proposito il professor Zamagni propone la sua idea fondata sulla valorizzazione del potenziale umano delle persone in età post-lavorativa. Il lavoro per gli over 65 autosufficienti in questo senso diventa il fulcro della questione. «Perché impedire a milioni di persone che stanno mediamente bene di essere generativi per sé stessi e per la società? La vera sfida è trovare forme – e ce ne sono – per valorizzarli. Chi dice il contrario è un mentitore. Non si può tenere una persona per vent’anni senza far nulla: questo è il vero delitto». E il terzo settore, secondo Zamagni, può giocare un ruolo decisivo. «Dobbiamo mettere in moto – conclude l'economista – gli strumenti della società civile, quelli che chiamiamo terzo settore. Il loro ruolo è proprio questo. E gli anziani sarebbero contentissimi».