Esteri

Donald Trump saluta a favore di fotocamera (Foto: ilmiogiornale.net)


Descrive la comunicazione di Trump come “audace e pretenziosa”, ma non crede che necessariamente metta in pericolo l’equilibrio europeo. Federico Petroni, professore di Unibo e analista geopolitico della rivista di politica internazionale Limes, inquadra così la strategia diplomatica del neo presidente degli Stati Uniti.

Tra le dichiarazioni di Trump che preoccupano di più ci sono le minacce di pesanti imposte sui beni importati dall’Unione Europea. Tuttavia, Petroni rassicura che creare un’Europa destabilizzata «non è nell’interesse degli Usa», e che questi avvertimenti «servono solo per consolidare l’elettorato di Trump e piegare i paesi agli interessi statunitensi».

In altre parole, Trump «punta a cento ma ottiene cinquanta», come dice Petroni: il suo obiettivo è dimostrare di essere un leader «capace di prendere scelte difficili a differenza del suo predecessore Biden», anche se tali scelte non potranno essere portate fino in fondo. Però, ciò importa poco al gruppo dei Patrioti per l’Europa, che raccoglie i partiti di destra ed estrema destra nel Parlamento Europeo, i quali, allineandosi alla linea trumpiana, «approfittano del clima favorevole» per ampliare il loro sostegno in patria e sostengono le intenzioni dell’amministrazione trumpiana

Per quanto goda di un ampio sostegno interno ed internazionale, Petroni rassicura che «Trump non è un monarca. La maggioranza in Parlamento è risicata e la Corte Suprema ha già dimostrato la sua autonomia istituzionale, fermando alcuni dei suoi ordini esecutivi». Inoltre, conclude Petroni, «all’estero ci sono apparati di sicurezza che ridimensioneranno le sue pretese», come nel caso dell’aumento fino al 5% del PIL della spesa militare nei paesi Nato.

Gli esempi più grandi sono la guerra in Ucraina e la guerra tra Gaza e Israele. Nel primo caso, Trump affermava che avrebbe risolto il conflitto in ventiquattro ore, ma da quando si è insediato «ha corretto il tiro, dicendo che ci vorrà tempo per giungere a quella che lui chiama pace». Nel secondo caso, il presidente degli Usa tende a partire da constatazioni di buon senso («Gaza è un luogo invivibile») per intavolare le sue mosse. Queste ultime sono finalizzate, ancora una volta, a instaurare relazioni vantaggiose per gli Stati Uniti e la loro posizione nello scacchiere globale.

Anche Elon Musk ha il suo ruolo nella macchina comunicativa trumpiana: il suo Doge (Department of Government Efficiency), mira a «convertire gli apparati pubblici alla linea trumpiana» e ridurre la spesa della burocrazia, come dimostrano i 9.000 impiegati licenziati in meno di un mese. Tuttavia, il Doge finora ha operato solo su settori civili e se provasse a mettere mano su quelli privati, come la difesa militare, avverte Petroni «ci sarebbe il rischio che i burocrati si coalizzino contro Trump, creando una forte destabilizzazione interna». L’ennesimo rischio che Trump non vuole e non può permettersi.

 

L'intervista è stata realizzata il 12 febbraio 2025 e pubblicata su "Quindici" il 30 aprile