Esteri

Giorgia Meloni e Donald Trump (foto: Heute.at)
Destabilizzare l’equilibrio dell’Unione Europea, usare i dazi come armi geopolitiche e portare l’Ucraina alla resa di fronte alla Russia. Renaud Dehousse, rettore della sede bolognese della Johns Hopkins e professore di diritto europeo, riassume con questi tre obiettivi la strategia comunicativa che Donald Trump ha adottato da quando si è insediato come presidente degli Stati Uniti.
Trump è tornato alla Casa Bianca nel mezzo una situazione internazionale non facile da districare, eppure il neo presidente «ha costruito una dialettica basata sul fare grossi annunci, impressionare e creare scompiglio tra i suoi destinatari sin dalla sua campagna elettorale», commenta Dehousse.
In campo europeo, «Trump sta usando un approccio brutale e per niente diplomatico, facendo pressione sull’Ucraina affinché tratti la sua resa con la Russia e minacciando l’Ue con dazi sulle merci, mentre gli Usa si mettono in mezzo alle trattative per creare rapporti di forza a loro favorevoli»
Qual è, però, la ragione politica dietro queste imposte? Dehousse sostiene che servono per «destabilizzare il fronte unico europeo perché Trump non ha interesse a dialogare con le istituzioni dell’Ue, ma con i singoli stati. Per farlo – continua il rettore – utilizza i dazi per spingere i membri europei a mediare direttamente con gli Usa, e non attraverso Bruxelles, in cambio di canali privilegiati di comunicazione e scambi di favori, come sta facendo il gruppo dei Patrioti per l’Europa».
Interrogato sulla posizione di Giorgia Meloni in questo scenario diplomatico, Dehousse afferma che la Presidente del Consiglio «ambisce a un ruolo privilegiato con gli Usa, il quale però ne approfitta per indebolire l’autorevolezza delle istituzioni comuni. Questa realtà può essere un veleno per l’Ue – avverte Dehousse – e c’è il rischio che Meloni possa fare il gioco di Trump, e tale rischio esiste per qualsiasi altro capo di governo europeo».
Elon Musk che ruolo ha in tutto questo? Sul fronte interno, il rettore sottolinea l’impatto che l’imprenditore sudafricano ha avuto negli Usa: «Il Doge è stato uno scossone monumentale, ha dei poteri che gli permettono di interferire a tutto campo, come dimostrano i licenziamenti di migliaia di impiegati pubblici e l’interruzione del progetto UsAid. Tutto ciò serve per ridurre al minimo l’intervento dello Stato nell’economia interna ed estera». Inoltre, Dehousse esprime preoccupazione per i possibili tagli futuri ai fondi dedicati al campo della ricerca e alle borse di studio per gli studenti statunitensi.
La stessa Johns Hopkins, sottolinea il rettore, è andata contro l’interruzione dei finanziamenti per la ricerca facendo ricorso insieme ad altre università statunitensi per mantenere vivo il supporto pubblico. Per ora il ricorso è stato accolto e i fondi resistono, ma non c’è certezza sulla loro sopravvivenza.
Il sistema dei contropoteri statunitense non può limitare i poteri del presidente? Dehousse si dimostra scettico sulla loro riuscita: «I contropoteri in passato hanno sempre arginato il potere del presidente, ma stavolta non avranno molta autorità: Trump ha un controllo senza precedenti sul suo partito, perché ha dalla sua parte la maggioranza nel Congresso per approvare leggi e la potenza finanziaria di Musk per finanziare le campagne elettorali dei suoi alleati in vista elezioni di metà mandato».
«Il solo organo che può arginare Trump è la Corte Suprema che, nonostante abbia anch’essa un’influenza repubblicana, ha già bocciato diverse proposte incostituzionali dell’attuale amministrazione, come l’abolizione dello ius soli», conclude Dehousse.