Suicidio Assistito

Piergiorgio Welby (foto Ansa)
Era il 20 dicembre del 2006, quando il respiratore che teneva in vita Piergiorgio Welby dal 1997 venne finalmente staccato, ponendo fine alle sue sofferenze. Ex calciatore, si ammalò a sedici anni di distrofia muscolare in forma progressiva, peggiorando di giorno in giorno. Costretto negli anni Sessanta e Settanta ad assumere droghe per sopportare il dolore. Il percorso di disintossicazione, il metadone. E poi la crisi respiratoria definitiva nell’estate del 1997 che lo portò al coma, quindi alla tracheotomia e alla richiesta di “staccare la spina”. Una volontà per cui ha lottato fino all’ultimo giorno, sostenuto dai Radicali e dall’associazione Luca Coscioni che lo nominò co-presidente.
Nel 2006 scrisse una lettera al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiedendo un confronto politico serio e rapido, innescando la reazione decisa della Chiesa cattolica che, attraverso il Consiglio episcopale permanente, ribadì l’assoluta contrarietà all’eutanasia. Una battaglia contro una normativa che già all’epoca era inesistente, i ricorsi al Tribunale capitolino per ottenere la definitiva sospensione dell’accanimento terapeutico. Eppure, il giudice romano aveva già allora affermato l’esistenza del diritto di «richiedere l’interruzione della respirazione assistita, previa somministrazione della sedazione terminale». Un diritto a metà, «non tutelato dall’ordinamento», secondo il magistrato, così che venne spontaneo chiedersi (allora come oggi), se davvero un diritto può ritenersi tale quand’anche non sia specificamente previsto e disciplinato dagli strumenti normativi di una repubblica libera e democratica.
Ma l’uomo Welby non perse la speranza e con l’aiuto del medico anestesista Mario Riccio (processato e poi assolto dall’accusa di omicidio del consenziente), nel dicembre 2006 ritornò realmente tale, pienamente capace di scegliere di chiudere definitivamente il conto in sospeso con la sofferenza e con il dolore. Il funerale cattolico, richiesto dalla moglie di Welby, venne negato dal Vicario generale per la diocesi di Roma, Camillo Ruini. «Una sofferta decisione nella consapevolezza, di arrecare purtroppo dolore e turbamento ai familiari e a tante altre persone, anche credenti, mosse da sentimenti di umana pietà e solidarietà verso chi soffre, sebbene forse meno consapevoli del valore di ogni vita umana, di cui nemmeno la persona del malato può disporre», disse il Cardinale.
Già, il valore della vita umana.