Suicidio Assistito

Matteo Mainardi (foto Associazione "Luca Coscioni")

 

Matteo Mainardi, membro del Consiglio generale dell’associazione “Luca Coscioni”, dal 2013 è coordinatore della campagna “Eutanasia Legale”. Ha partecipato, nei giorni scorsi, alla manifestazione organizzata davanti al Tar dell’Emilia-Romagna, che ha sospeso le delibere regionali che consentivano l’attivazione della procedura di suicidio assistito. Eppure, secondo Mainardi, «l’azione del Tar è un atto dovuto. Se avessimo organizzato noi la manifestazione non avremmo scelto questo luogo. Ci troviamo davanti al Tar perché la precedente legislatura non ha avuto il coraggio e la forza di fare una legge. Se fosse stata emanata una legge oggi ci troveremmo di fronte alla Corte Costituzionale. Bonaccini non voleva esporsi prima delle elezioni europee, e questo è il risultato».

 

E proprio a Bologna, un paziente affetto da Sla, che aveva completato le procedure burocratiche per accedere al suicidio assistito, si trova ora nell’incertezza. È a conoscenza di altri casi sospesi in Emilia-Romagna?

«Al momento no. La nostra associazione ha fatto un accesso agli atti alcuni mesi fa e in Regione risultavano tre richieste. Successivamente i consiglieri di “Alleanza Verdi di Sinistra” hanno presentato un’altra richiesta da cui è emersa l’esistenza di altri due casi. Una è proprio quella che coinvolge il paziente affetto da Sla e che ora si trova sospeso nell’incertezza. Un’altra riguardava una persona che è deceduta prima del completamento dell’iter».

 

Secondo lei il diritto al suicidio dovrebbe essere svincolato dai rigidi presupposti indicati dalla Corte Costituzionale nel 2019? O, detto più chiaramente, avrebbero il diritto di morire anche i pazienti oncologici in fase terminale o coloro che sono affetti da una depressione cronica che non permette più una vita degna di essere considerata tale?

«Tra i requisiti indicati dalla Corte Costituzionale per accedere alla procedura di suicidio assistito l’unico che andrebbe superato, per estenderne l’applicazione, sarebbe quello della presenza di trattamenti di sostegno vitale. Siamo l’unico paese al mondo che impone la sussistenza di tale presupposto. Eppure, i giudici della Consulta, in una successiva sentenza hanno precisato che il collegamento ai macchinari di sostegno può essere esteso anche all’assistenza continuativa e farmacologica. Già adesso, le persone con patologia psichiatrica irreversibile potrebbero completare il percorso di suicidio assistito. Perché tra i requisiti indicati dalla Corte non c’è solo la grave e perdurante sofferenza fisica, ma anche quella psicologica. In linea di principio, quindi, il diritto è già riconosciuto anche a queste persone. Nei fatti, però, non possono accedere alla procedura perché se la commissione medica non valuta le terapie farmacologiche come terapie di sostegno vitale, il paziente non può giungere alla sua determinazione finale».

 

C’è una differenza tra suicidio assistito e eutanasia legale?

«Dal pinto di visa giuridico sono due cose diverse. Dal punto di vista pratico, la procedura e il fine sono gli stessi. Nel suicidio assistito, tuttavia, il medico si limita alla prescrizione del farmaco letale, che poi il paziente si autosomministra. L’eutanasia legale, invece, prevede che sia il medico stesso a iniettare o somministrare il farmaco letale. La valutazione diagnostica e burocratica è la stessa, l’unica differenza è l’azione diretta o indiretta del medico. Ottenere pure la legalizzazione dell’eutanasia servirebbe per tutelare quelle persone totalmente impossibilitate a muovere anche solo un dito per azionare un macchinario che consenta loro di assumere il farmaco che ponga fine alla loro vita».

 

Cosa ne pensa del caso del paziente americano affetto da Sla, che grazie a un dispositivo Neuralink, azienda di Musk, ora può parlare con il pensiero?

«Sono innovazioni che aiutano chi è affetto da una disabilità grave. Ritrovare la possibilità di comunicare con l’esterno è una cosa positiva. Anche per noi come associazione il primo obiettivo è quello di trovare alternative alla morte. Detto questo, in Italia, avere un semplice puntatore oculare per riuscire a comunicare è un’impresa. E queste tecnologie esistono da trent’anni. Anche una volta ricevuto il dispositivo, trovare qualcuno che insegni a usarlo è pressoché impossibile. Sono innovazioni utili, ma ben poche persone possono utilizzarle efficacemente».

 

Dal punto di vista politico, la soluzione dove la si trova?

«Indubbiamente, il Parlamento a livello nazionale è l’organo deputato a intervenire. Le dichiarazioni di Michele De Pascale, presidente della Regione Emilia-Romagna, sono dichiarazioni che in realtà, al momento, se questo dibattito parlamentare andasse avanti più rapidamente, non porterebbe a quello che lui vorrebbe appoggiare, cioè a un all’argomento dei diritti, ma all’esatto opposto. Questo perché l’unica proposta di legge sul tavolo sarebbe un passo indietro anche sul testamento biologico, un ritorno all’epoca dei casi di Piergiorgio Welby e Eluana Englaro, con i trattamenti di sostegno vitale inclusi nella categoria dei trattamenti sanitari obbligatori. Chiedere ora una legge nazionale, con le indicazioni della maggioranza, vorrebbe dire avere una legge che limiti ulteriormente la possibilità di scelta di chi soffre. Le Regioni hanno una propria responsabilità nello specifico ambito dell’organizzazione sanitaria. De Pascale lancia la palla al Parlamento per non assumersi la propria responsabilità».

 

Quindi?

«Una Legge nazionale serve per dare omogeneità a una disciplina complessa e delicata. Nell’attesa che il parlamento si esprima, le regioni devono attivarsi. La Toscana l’ha già fatto e anche nelle Regioni che non hanno una legge o una delibera le Asl stanno sviluppando protocolli specifici. Non dimentichiamo che la normativa c’è. Non c’è una legge nazionale, ma la normativa è quella indicata chiaramente dalla Corte Costituzionale».