Musica

Roberto Vecchioni (foto di Paolo Pontivi)

 

«Prendevo la mia 600 e venivo a Bologna, alle osterie di fuori porta, alle Dame. Con Francesco (Guccini) e Lucio (Dalla), era un happening continuo, un misto incredibile di intelligenza, ragione e sentimento». Roberto Vecchioni, ieri sera all’Europa Auditorium, con il suo “Infinito Tour”, ha messo in scena uno spettacolo fatto di musica, di testi delle sue canzoni, di parole e di pensieri. Una lectio magistralis del professore milanese, come un flusso di coscienza ininterrotto. Che da un ricordo personale, da un aneddoto, da un rimpianto si è steso e dipanato toccando temi attuali e controversi. La difficoltà e l’indispensabilità dell’amore, il naufragio dell’uomo moderno, la potenza e i pericoli della tecnologia, la guerra, le donne. Un lungo filo di emozioni e sentimenti che fanno pace con il passato quando «proprio qui, in questa città, Lucio parlava ininterrottamente dalle otto di sera alle quattro del mattino, mentre Francesco raccontava barzellette e si arrabbiava. Una “burrascosità” che non ho più ritrovato in nessun altro. E poi c’era Claudio Lolli che cantava solo “Bandiera Rossa”. E sulla politica ci siamo cascati tutti».

Un mondo, quello vissuto dal cantautore, fatto di proiezioni in avanti, nella semplicità di una vita che non è solo «darsi la mano, ma anche saper cogliere l’attimo che deve essere colto. Perché esiste sempre un “davanti”. Ci sono idee che non muoiono mai, che noi abbiamo il dovere di trasmettere ai nostri figli insieme ai valori di libertà, desiderio, sogno e vita».

E apre il concerto con  “Il Lanciatore di coltelli”, brano del 2002, una metafora che disegna in musica l’immagine di un padre che colpisce dalla terra le stelle con un pugnale, per illuminare il cielo e indicare la strada al figlio. «Io guardo sempre avanti, ho ottantadue anni e mi dicono: “Roberto, ne avrai avuto di tempo”. No, sarebbe meglio ne avessi centossessanta, e sarei ancora qui a parlare di bellezza, di uomini. Queste guerre, questo orrore, devono finire. Siamo in troppi a essere dalla parte giusta e ognuno di noi vale duemila, tremila volte gli altri. Abbiamo mille cose da dire, da sussurrare, da sperare». Quasi a prendere la mano della poetessa Emily Dickinson, quasi a guardarla con tenerezza quando scriveva che la “Speranza è un essere canoro che canta senza parole e che non ha nessuna voglia di smetterla” e «il più bello dei mari è quello che non abbiamo ancora solcato, il più bello dei nostri figli è quello che non è ancora cresciuto. Il più bello di quello che vorrei dirvi, non ve l’ho ancora detto».

Così, tra un pensiero altro, scorrono le storie di “El Bandolero stanco”, “Signor giudice”, “Cappuccio Rosso”, un madrigale straziante di una combattente curda che muore in battaglia, la controversa “Voglio una donna”, perché «vedete, un atto di accusa perché non sopporto le donne che scimmiottano gli uomini, che bramano quella grande stronzata che è il potere maschile».

L’omaggio alle sue, di donne, con “Figlia” e “Le mie ragazze”. Poi alla moglie «che per me è il paradiso. Non si è mai arresa, ha combattuto per tutto e per tutti. È un compendio di ogni donna che esiste sulla faccia della terra». Una patina leggera di nostalgia per un passato che in fondo l’ha segnato, ha tracciato le linee definitive dei suoi anni. La morte del figlio, la difficoltà e l’impossibilità di alleviare il dolore di una madre. «Vivo di emozioni, l’intelligenza artificiale non potrà mai sostituirsi a noi. Perché non sa cos’è la sofferenza, non conosce il dolore e non sa perdere. L’emozione ci consente di sopravvivere, stasera ne ho già provate tre o quattro e questa notte me le porterò con me nei sogni, per credere alla cultura, alla vita e all’esistenza».

Prima dei grandi successi, “Sogna ragazzo Sogna”, “Chiamami ancora amore”, “Luci a San Siro”, “Samarcanda”, grida la speranza di «una politica pura, migliore. Dobbiamo farlo capire a quelli che non votano. Basta con sta storia che non ci si fida di nessuno, che è tutto un “magna magna”. A votare ci si va. Voglio vedere quando voteranno questi eterni astenuti se le proporzioni rimarranno le stesse». Perché in fin dei conti, la politica, l’impegno, la passione e l’amore fanno tutte parte di uno stesso grande contenitore che è la vita. Vissuta e sperata, fatta di brevi e lunghissimi momenti, disperazione, gioia e incertezza. Pur con il ricordo, citando ancora Dalla, «che “se quest’anno poi passasse in un istante, vedi amico mio come diventa importante che in questo istante ci sia anche io”. È tutto quello che conta. Da soli non si va da nessuna parte. Grazie Bologna, grazie davvero. Dovrebbero fare un decreto legge d’urgenza perché la vostra squadra vada dritta dritta in Champions. Se lo merita proprio e se, poi, massacrate il Milan, sono ancora più contento». Ecco. Appunto.