Referendum

L'ex sindaco di Bologna Virginio Merola (foto Ansa)  

 

«Invitare i cittadini a non votare è un messaggio irresponsabile da parte del governo e usare l’astensionismo come un’indicazione è grave dal punto di vista istituzionale». Con queste parole Virginio Merola, ex sindaco di Bologna con il Partito Democratico dal 2011 al 2021, ha commentato la scelta della maggioranza di indicare l'astensione ai  prossimi referendum su lavoro e cittadinanza che si terranno l’8 e il 9 giugno. «Così si sceglie la strada della furbizia, che è quella di non dare informazioni e far trapelare che basta non andare a votare. In questo modo, però, si aumenta il distacco già grande tra politica e cittadini», continua Merola.

Un referendum rappresenta la forma più diretta di democrazia, perché consente ai cittadini di esprimersi chiaramente e senza filtri su temi cruciali per la società. Tuttavia, spesso si trasforma anche in un duello politico, che vede i partiti strumentalizzare la battaglia per il sì o per il no e lottare per accaparrarsi il governo dell’informazione. È per questo, secondo Merola, che della tornata referendaria di giugno si sa così poco: «È una scelta del governo, che si è tradotta nell’astensione invocata da Fratelli d’Italia. Non vengono date notizie proprio perché l’obiettivo è quello di invalidare il referendum, incentivando l’astensione». E nonostante anche il Pd abbia già sfruttato nel 2003 l’arma dell’astensione, non se ne può, a suo dire, parlare oggi allo stesso modo, visti i dati di partecipazione delle ultime elezioni. «Dal 2003 a oggi l’astensionismo è aumentato notevolmente. Se si vuole davvero manifestare la propria astensione ai quesiti, lo si può fare andando a votare e inserendo scheda bianca», spiega Merola, che comunque non mette in dubbio la libertà dei cittadini di scegliere. «L’astensione è un diritto, ma ai miei tempi si trattava di un atto di forza da parte degli anarchici e dei movimenti politici degli operai. Oggi invece, favorendo il fatto di non andare a votare, si dà ai cittadini il messaggio che le loro scelte non contano molto. È molto importante, invece, dare un segnale contrario, dicendo alle persone che con il loro voto possono incidere».

Ed è proprio questo il compito del Partito Democratico, il cui orientamento è «quello di votare sì ai cinque quesiti dei referendum proposti dai sindacati e dalla Cgil. Si tratta di affermare una questione che è quella di ridare dignità al lavoro. La flessibilità è stata scambiata con la precarietà e il lavoro non è stato così tutelato. Bisogna quindi abrogare quelle norme del "Jobs Act" che, dopo aver esaurito gli incentivi, hanno agevolato anch’esse la precarietà», continua l’ex sindaco. Anche il referendum sulla cittadinanza è un referendum sul lavoro: «Ci sono persone che lavorano e contribuiscono da anni in Italia e non vengono riconosciuti. Votando sì, si può quindi ridurre il tempo necessario per ottenere la cittadinanza a cinque anni, che sono più che sufficienti». Ma quali sarebbero le conseguenze di un eventuale flop del referendum del Pd che si è esposto così tanto a favore del sì? «Si valuterà dopo. Il vero tema oggi è quello di parlare con più persone possibili e diventa quindi fondamentale il ruolo dell’informazione. Le nuove norme poi permettono di votare anche ai fuorisede e bisogna far valere questo diritto che abbiamo conquistato solamente da poco».