Istruzione

Nell’immagine Isabella Conti (Foto: Ansa)
Dopamina e quindi dipendenza, accessibilità e quindi mancanza di conseguenze, utilizzo e quindi assuefazione alla realtà. Il danno provocato dai cellulari ai minori ha basi scientifiche comprovate, che preoccupano Isabella Conti, assessora regionale alle politiche per l’infanzia e scuola ed ex sindaca di San Lazzaro che chiede una legge per vietare, o almeno per limitare, l'uso dello smartphone in classe.
Quali sarebbero le fasce d’età interessate dalla sua proposta di provvedimento di vietare i cellulari a scuola?
«Tutte. I dati scientifici ci dicono che l’utilizzo dello smartphone sta creando problemi sociali e psicologici a tutti i livelli, dall’infanzia all’adolescenza».
Ma il problema dell’utilizzo degli smartphone, quindi, qual è?
«I ragazzi di oggi sono esposti già da piccoli ai cellulari. Il 40% dei bambini sotto ai due anni viene già regolarmente esposto. Ma anche i più grandi, di sedici o diciassette, ne fanno un utilizzo dannoso per l’apprendimento. Essere sempre connessi su Internet porta all’alienazione dalla realtà, mentre i contenuti dei social network, spesso brevi e con immagini semplici, creano dipendenza ma non attivano le parti “giuste” del cervello. Per esempio, leggere un semplice libro a immagini è molto più utile per la mente perché attiva l’immaginazione, la fantasia, l’interpretazione».
Però i dispositivi con cui intrattenersi esistevano già, le console di gioco sono molto diffuse. Non sono comparabili ai telefonini?
«I videogiochi non presentano gli stessi problemi. Innanzitutto stimolano molto di più rispetto a un reel su Instagram, sono più complessi. In più, i bambini non ne sono sovraesposti, come accade per gli smartphone, dei quali anche i genitori fanno un utilizzo importante».
Lei infatti ha detto di non colpevolizzare i genitori, però dovrebbero essere i primi a vegliare sulla salute dei propri figli.
«È vero. Ma abbiamo creato una società disfunzionale, essere un genitore è molto difficile. Il lavoro assorbe molto tempo, sostenere economicamente una famiglia è uno dei problemi principali da affrontare. Poi anche gli adulti ormai sono iperconnessi, quindi l’utilizzo di social o chat è usuale. In più, la dinamica di stress release, di rilassarsi dopo una giornata lunga, è quella di navigare sui social. Se però per i genitori non è dannoso, lo è per i figli che non hanno ancora gli strumenti per farlo».
La soluzione quindi è vietare il cellulare nelle scuole?
«È un punto di partenza. Sensibilizzare pediatri, genitori e in generale l’opinione pubblica ci permetterebbe poi di arrivare a una proposta di legge accettata e condivisa da tutti, magari deliberando che nelle ore scolastiche il telefonino venga lasciato fuori dalle aule. L’obbiettivo è quello di far capire che questi strumenti, se usati male, hanno delle conseguenze gravi a lungo termine».
La regione si potrebbe muovere da sola?
«Lo stiamo facendo, ma non dal punto di vista legislativo. Gli “Stati generali dell’infanzia”, previsti il 22 e 23 maggio e il 6 giugno, sono il primo passo per, ripeto, sensibilizzare tutti. L’Emilia-Romagna ritiene che questo sia un problema grave e da affrontare a livello nazionale».
C’è già in parlamento un’altra proposta di legge in discussione, quella sull’educazione sessuale a scuola. C’è un collegamento tra i due dibattiti?
«Assolutamente. La sessualità e ancor di più l’affettività alla nostra generazione sono state insegnate a scuola. Si facevano lezioni su come rapportarsi tra i sessi e al sesso e a farlo in maniera sana. Venivano a fare sensibilizzazione i consultori, non solo sul comportamento ma anche sulle malattie sessualmente trasmissibili. Ora che questo insegnamento è venuto meno, si cercano risposte online, ma questo tipo di educazione non può e non deve essere fatta su Internet».
Si ritorna quindi a un problema di modalità di utilizzo?
«Esatto. Nei più giovani si nota un aumento dell’accesso a siti pornografici e di scommesse. La ludopatia crea dipendenza, ma anche il porno. Un ragazzo che “sfoglia” per 30 minuti un sito per adulti ha accesso ad una quantità di immagini di donne che un secolo fa non avrebbe avuto neanche un Imperatore. Se c’è un utilizzo reiterato, si sviluppa una dipendenza ma anche una resistenza, che porta alla ricerca di contenuti sempre più estremi. È chiaro che poi i più giovani non hanno gli strumenti per “difendersi” da questi contenuti espliciti e da lì si creano problemi a cascata, nella gestione delle proprie emozioni e dei rapporti con l’altro sesso».
Quindi è d’accordo con la proposta di limitare l’accesso ai siti per adulti?
«Si. Navigare online ha tre caratteristiche precise: accessibilità, gratuità e anonimato. L’accessibilità non è controllabile, gli smartphone li hanno tutti. La gratuità e l’anonimato sì. Richiedere carte di credito o lo Spid per accedere a siti per adulti è una misura che andrebbe a proteggere le fasce d’età più sensibili».