Letteratura

Mario Vargas Llosa (foto da Licenze Creative Commons)
È triste dover accettare la morte di un grande autore, soprattutto quando questo era tanto combattivo, ma sapere che Mario Vargas Llosa si è spento serenamente, a 89 anni, domenica 13 aprile, accudito dalla sua famiglia, in qualche modo ci rincuora. Come anche sapere che il fatto sia avvenuto a Lima, capitale di quella terra, il Perù, che gli aveva dato i natali e dalla quale si era allontanato per anni.
Credere che possano esistere persone in grado di svolgere tante attività differenti nell’arco di una singola vita risulta difficile. Eppure gli esempi non mancano. Vargas Llosa aveva rivestito molti ruoli e ognuno di essi è un tassello che rivela il mosaico della sua identità. Parliamo di un uomo che ha svolto il lavoro di scrittore, drammaturgo, giornalista e accademico, impegnato persino in politica. Tutti ruoli legati da un filo rosso, e cioè raccontare gli individui e le loro lotte all’interno degli ingranaggi arrugginiti e affilati del potere politico, in particolare nella sua terra natia e nell’intero continente sudamericano.
Era un intellettuale sempre attento all’attualità, con il suo modo di fare composto eppure ironico e anticonformista: memorabile il suo intervento a Bologna alla Repubblica delle Idee nel 2017, dove aveva parlato, in dialogo con l’allora direttore del quotidiano Mario Calabresi, del serio pericolo del populismo per le democrazie.
La carriera letteraria di Vargas Llosa è stata sfolgorante fin dagli esordi. Grazie a prime opere capitali come "La città e i cani" (romanzo bruciato in piazza per aver criticato le autorità militari di un collegio di Lima), "La Casa Verde" e "Conversazione nella «Catedral»" aveva contribuito, assieme ad autori come Gabriel García Márquez e Julio Cortázar, a rendere celebre nel mondo la letteratura latinoamericana.
Ma non era solo uno dei più grandi romanzieri del Novecento e del Duemila. Era stato anche il candidato per la coalizione di centro-destra alle elezioni presidenziali del Perù del 1990, vinte poi da Alberto Fujimori, un indipendente, docente universitario, rivelatosi uno dei più crudeli dittatori nella storia della nazione andina. Dopo la vittoria del suo avversario, aveva preferito trasferirsi in Spagna, a Madrid, e ottenere in seguito la naturalizzazione spagnola.
I risvolti sociali e politici del suo Paese, e di altri come il Perù, asfissiati dalla piaga delle dittature, sono sempre stati alla base della sua letteratura. Pochi come lui hanno saputo dare voce agli ultimi, agli umili, e nonostante ciò la critica di sinistra, in passato, lo aveva spesso criticato con forza per le sue idee liberali.
Inutile dire dei molteplici premi e onorificenze ricevuti in vita, primo fra tutti il Premio Nobel per la Letteratura nel 2010 con la seguente motivazione: «Per la sua cartografia delle strutture del potere e per la sua immagine della resistenza, della rivolta e della sconfitta dell'individuo».
Nel 2021 era stato il primo autore straniero a essere eletto all’"Académie française" senza aver mai scritto nulla in francese, segno dell’importanza del suo lavoro per altre lingue e culture.
La sua lotta contro la violenza umana, attraverso la scrittura, non finirà certo nel dimenticatoio, poiché, come ricorda lo stesso Vargas Llosa nel suo discorso di accettazione del Nobel, la letteratura è «la maniera più efficace che abbiamo trovato per alleviare la nostra condizione mortale, per sconfiggere il tarlo del tempo e trasformare in possibile l’impossibile».