Carceri

Foto Ansa
Le persone transgender attualmente detenute nella sezione "Orione" del carcere di Reggio Emilia sono undici e provengono da diversi paesi. Di loro si parlerà al femminile dato che attualmente le detenute transgender in Italia sono per lo più donne trans. Una minoranza che vive una condizione da carcere dentro il carcere. Tra queste persone prevalgono le straniere: quattro sono italiane, cinque brasiliane, una rumena, una peruviana. Maria Di Palma, funzionaria del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap) dell’Emilia-Romagna e delle Marche, ha illustrato la realtà della sezione "Orione", oggi l’unica sezione trans nelle strutture detentive dell’Emilia-Romagna, nata nel 2017 come laboratorio sperimentale e operativa dal 2018. Lo ha fatto ieri nella sede dell’assemblea legislativa nel convegno dal titolo “Carcere, transessualità e limitazione della libertà personale. Dall’esperienza di Reggio Emilia all’Italia", promosso dal Garante regionale dei detenuti, Roberto Cavalieri. L’incontro ha acceso i riflettori su una delle realtà più invisibili del sistema penitenziario italiano: la condizione delle persone transgender in carcere a livello nazionale. Durante la conferenza sono emerse testimonianze dirette e dati che delineano un quadro chiaro.
Molte di queste donne, ha infatti spiegato Di Palma, hanno un passato di lavori saltuari: soprattutto nel campo del sex work, poche hanno invece lavorato come parrucchiere e come bariste prima di diventare detenute. Quasi tutte mostrano una significativa incidenza di disturbi di personalità, in particolare con tratti borderline e narcisistici, spesso accompagnati da disturbi dell’umore e uso di sostanze stupefacenti. Inoltre, i reati più frequenti per i quali queste detenute stanno attualmente scontando la propria pena sono furti, rapine e estorsioni. Meno presenti sono, invece, quelli per spaccio di stupefacenti e in netta minoranza gli omicidi e tentati omicidi.
Foto dell'Assemblea Legislativa-Le minoranze in carcere (Federica Cecchi)
A Reggio Emilia, come nel resto delle strutture penitenziarie italiane, le detenute transgender si scontrano con una rete di diritti spesso non garantiti: accesso discontinuo alla formazione, al lavoro, all’assistenza psicologica. Ma il problema più grave è rappresentato dalla difficoltà che riscontrano nel proseguire le cure ormonali iniziate all’esterno. In questo contesto complesso, il mantenimento delle terapie non è completamente supportato in quanto ci sono carenze strutturali e il personale sanitario specializzato non è correttamente formato e non basta. Inoltre, va ricordato che le cure per la transizione, essendo a pagamento, non sono alla portata di tutte, dato che non vi è alcun aiuto economico. «I farmaci ormonali – ha ricordato Di Palma – sono cure che non possono essere interrotte da un giorno all’altro. A Reggio Emilia esiste un presidio sanitario dedicato dove endocrinologi e ginecologi svolgono la propria professione garantendo un accesso sicuro di prescrizione ai farmaci, ma la continuità terapeutica è ancora ostacolata dalla mancanza di personale e in molte regioni d’Italia mancano le risorse necessarie per far sì che questo avvenga».
Si parla quindi di un contesto drammatico, sancito da isolamento, depressione ma anche da grande violenza sia psicologica che fisica che le detenute subiscono nel quotidiano. «Le detenute sono spesso coinvolte in risse dovute a pregiudizi e discriminazioni, è difficile prevenirle o fermarle», ha spiegato Silvio Di Gregorio, provveditore regionale Prap di Emilia-Romagna e Marche. È chiaro che si tratta di persone vulnerabili, spesso segnate psicologicamente perché non sostenute dai familiari nel loro percorso di transizione e quindi sole.
In conclusione, lo scenario è doppiamente marginalizzato, come ha spiegato lo stesso Cavalieri: «Il transgender in carcere è soggetto a una situazione di doppia difficoltà, in quanto limitato della libertà e data la sua appartenenza a una particolare minoranza viene considerato parte "divisiva" del sistema penitenziario». «Spesso le minoranze – spiega il garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna, Roberto Cavalieri – pagano un prezzo alle maggioranze, come accade per i transgender detenuti». Questo è dovuto al fatto che, nel nostro paese, il carcere è fortemente influenzato dalla cultura patriarcale. Il portavoce nazionale Samuele Ciambriello ha infatti spiegato che «tutto ciò sta a fronte di un sistema penitenziario prevalentemente maschile con una forte distinzione tra sessi, sulla durezza mascolina e sul sistema binario Uomo-Donna da cui è difficile uscire».