L'intervista

Il presidente della Regione al Master in Giornalismo. Foto: Federica Cecchi
Dal regolamento del canile discusso tra i banchi del consiglio comunale di Cervia al vertice della Regione Emilia-Romagna. Quarant’anni, due figli, dopo due mandati da sindaco di Ravenna e l’esperienza come presidente dell’Unione delle Province, ha realizzato il sogno di una vita. «Fare politica è un privilegio», dice il nuovo governatore. Con il suo predecessore è legato da una lunga amicizia, «ma quando scelgo rimango me stesso e non misuro il tasso di "bonaccinisimo"». Con il governo «collaborazione leale», anche se di Meloni «ho un giudizio molto negativo: non si è mai sforzata di rappresentare tutto il Paese». E’ buono invece il rapporto con il commissario Curcio: «Finalmente una persona competente». Tra alluvione e sanità, la testa alla prossima emergenza. Ma anche al centrosinistra a livello nazionale: «Bisogna lavorare per una visione comune, ma il Pd non abbia l’ossessione di governare».
Come sono stati i suoi primi mesi da presidente della Regione Emilia-Romagna?
«Molto intensi: la mia provenienza da un percorso di amministrazione locale mi ha portato ad arrivare alla presidenza con una conoscenza asimmetrica della Regione. La prima ansia è stata quindi quella di studiare, conoscere e visitare quella parte di Emilia-Romagna che avevo frequentato, ma non conoscevo a fondo».
Qual è stata la prima difficoltà alla quale ha dovuto far fronte?
«Dopo 17 giorni dal mio insediamento, ho dovuto firmare una lettera al ministero dell’Economia e delle Finanze che riportava come l’Emilia-Romagna avesse speso, nel 2024, 300 milioni in sanità in più rispetto a quelli che gli erano stati trasferiti. La prima sfida, quindi, è stata quella di decidere se fare 300 milioni di tagli o difendere la sanità pubblica trovando le risorse. Alla fine, decisi di fare questo investimento sulla salute che è stato molto importante, ma tosto».
Facendo un passo indietro, invece, cosa l’ha spinta a far politica sin da giovane?
«Provengo da una famiglia dove, di fatto, nessuno ha mai fatto politica o si è mai candidato ad avere ruoli di rappresentanza ed è stata, quindi, una passione tutta individuale. Ciò che mi spinse a intraprendere questo percorso, però, fu l’attentato alle Torri Gemelle, una tragedia che ha rappresentato per la mia generazione un vero spartiacque».
Cosa la colpì?
«La reazione che l’Occidente stava avendo e il rischio di uno scontro di civiltà che la coalizione dei volenterosi, prima in Afghanistan e poi in Iraq, stava correndo. Quando arrivai al consiglio comunale di Cervia, per la prima volta, però, mi chiesero di occuparmi del regolamento del canile».
Come affronta l’attenzione pubblica e la pressione che la sua posizione comportano?
«Ho avuto la fortuna di avere un grande maestro di vita, mio nonno, persona semplice, ma non un sempliciotto. E tutte le volte che io mi lamentavo per qualcosa mi diceva: “Guarda che si può anche andare a fare l’asfalto il 15 di agosto”. Ognuno di noi ha fragilità, che non vanno nascoste, ma comprese. Ma quando sento politici che si lamentano dello stress, mi viene da dire che nessuno ti obbliga. Quando ricevi dalla comunità più di quello che restituisci, sei un privilegiato e, come tale, puoi solo ringraziare».
Qual è la differenza più grande tra il ruolo di sindaco, che ha ricoperto a Ravenna per ben otto anni, e quello di Presidente della Regione?
«È un po’ come tennis e padel, simili, ma diversi. Ciò che è importante capire è che cambia il tuo ruolo e, se hai la mania del controllo, rischi di diventare problema e non soluzione. Concretamente, mentre in Comune hai materie di competenza soprattutto diretta, in Regione hai anche compiti di programmazione e pianificazione, di cui ti devi occupare come rappresentante dei cittadini all’interno di un leale rapporto col governo, di qualunque colore politico esso sia».
Qual è la cosa fatta, il risultato ottenuto, in politica di cui va più fiero?
«Da un lato, lo sblocco del cantiere del porto di Ravenna, un’opera che era data per persa e che la città attendeva da trent’anni. Oggi è un’infrastruttura strategica in cui, direttamente o indirettamente, lavorano 15.000 persone. Dall’altra, la creazione, a Ravenna, della spiaggia più accessibile d’Italia, nella quale anche una persona con qualsiasi tipo di disabilità può entrare facilmente».
C’è un errore, invece, che ha fatto e di cui non si è mai perdonato?
«Mi fa rabbia che il tema della sicurezza territoriale prima del 2023 non era prioritario nel programma di nessun candidato politico di nessun Comune dell’Emilia-Romagna, me compreso. E la stessa cosa è avvenuta più o meno con il rischio pandemico. Problemi, quindi, che non vengono sovrastimati oggi, ma che sono stati sottovalutati ieri. La domanda che dovremmo porci, allora, è: qual è il rischio che adesso stiamo sottovalutando?»
Come ha affrontato l’incidente stradale di cui è stato vittima nel 2011 e in che modo ha ripreso la sua attività politica?
«Avevo 26 anni, ero molto giovane e, chiaramente, è stato un fulmine a ciel sereno. Fu un colpo di sonno alla guida una domenica, poi quindici giorni di coma. Ero molto più morto che vivo. E ringrazio il sistema sanitario regionale perché, è drammatico dirlo, in qualsiasi altra regione ne sarei uscito morto o con gravi disabilità. Alla fine, però, è un episodio che ricordo come felice, perché mi ha permesso di tarare diversamente le priorità della vita».
Ha tempo per la famiglia?
«Sono sposato ed ho due figli, di dieci e cinque anni. Cerco di portarli a scuola di prendermi un giorno o un giorno e mezzo del weekend per fare le cose che amo e passare del tempo con la mia famiglia ma, quando ricopri questi incarichi, decidi che una parte della tua vita è dedicata al servizio della Regione»,
Con cosa preferisce intrattenersi nel tempo libero?
«Con molto cinema e con qualche libro. Non mi definirei un lettore seriale, ma la lettura e un libro sul comodino non devono mai mancare».
Qual è l’opera che l’ha influenzata maggiormente?
«Mi ha sempre colpito molto il cinema legato al filone dell’antirazzismo e il contrasto alle discriminazioni razziali è un sentimento che mi mosso da sempre. Per cui, direi Amistad».
Lei è stato di recente in visita al Parlamento Europeo, dove ha incontrato tra gli altri Stefano Bonaccini. Qual è il suo rapporto con il suo predecessore e quali novità sta cercando di apportare rispetto ai suoi mandati?
«A lui mi lega un rapporto di forte amicizia personale, lo conosco da più di vent’anni, da quando ho iniziato a muovere i miei primi passi nella politica. Viviamo un’epoca in cui i cittadini non sono soddisfatti della loro vita, per cui la politica può essere fatta in in antitesi rispetto a chi c’era prima o in emulazione di un leader. Io non mi riconosco in nessuno di questi due modelli e, nonostante l’ottimo rapporto che mi lega al mio predecessore, quando scelgo lo faccio rimanendo me stesso, senza misurare il tasso di bonaccinismo o schleinismo».
Che rapporto ha con la presidente del Consiglio?
«Ho un giudizio molto negativo di Giorgia Meloni che, pur essendo una leader molto abile di partito, non è mai riuscita ad essere una presidente del Consiglio di un paese e non si è mai nemmeno sforzata di cercare di rappresentare tutti. Pur ritenendo Meloni una leader non all’altezza dell’Italia, però, da presidente dell’Emilia-Romagna cerco di avere una leale collaborazione del Governo, anche quando mi viene il magone. Sono un po’ all’antica e le istituzioni, per me, hanno un tratto di sacralità».
Alle primarie del Pd del 2023 lei aveva sostenuto Bonaccini al posto di Elly Schlein. É soddisfatto del lavoro dell’attuale segretaria?
«Anche se su molti temi non la penso come la segretaria, posso dire che sta facendo un buon lavoro e, nel mio piccolo, faccio ogni giorno ciò che è in mio potere per aiutarla e sostenerla, con determinazione».
Il Pd si è diviso al Parlamento Europeo sull’approvazione del piano di riarmo. Lei cosa avrebbe votato e quali conseguenze prevede per la leadership di Schlein?
«Difficile dire cosa avrei votato, perché bisogna trovarsi in quei contesti. Mi ha stupito, però, l’impossibilità di Schlein e Meloni di trovare una convergenza su un tema, quello delle armi, in cui le loro posizioni non sono così diverse. Anche perché il riarmo, per quanto concepito male, si sposa con interessi che non sono di destra o di sinistra, ma dell’Italia. Invece, siamo finiti a parlare di Ventotene. Dopodiché, io condivido la posizione della Schlein sul tema, ma questo tipo di postura ha avuto una debolezza, di farci rimanere isolati nel Partito Socialista Europeo».
Ma il “Campo largo” è ancora possibile?
«Io ho fatto una coalizione molto larga in regione, facendo notti fino alle cinque per litigare e discutere sui punti del programma. E se non avessimo avuto delle sintesi che mi convincevano sui nodi fondamentali, avrei fatto una coalizione meno larga. L’idea di doversi mettere insieme anche senza una visione di paese comune solo per battere Meloni è completamente sbagliata, anche perché correremmo il rischio di far peggio».
Significa qualcosa il fatto che Giorgia Meloni non perda posizioni nei sondaggi?
«C’è un blocco sociale molto forte, che è relativamente maggioritario e che si riconosce nella Presidente del Consiglio, leader evidentemente capace di rappresentare una parte del Paese. Il vero problema è che in questo momento l’alternativa fa fatica ad emergere e non è percepibile».
Cosa può fare quindi il centrosinistra?
«La mia speranza è che una coalizione coesa e alternativa si manifesti ma, se dovessi sostituire la Meloni senza poter fare le cose in cui credo farei l’opposizione. In un Paese democratico è assolutamente nobile fare opposizione, cosa che il Pd spesso non ha compreso, pagando a caro prezzo l’ossessione di dover governare».
Passando alla Regione, il nuovo piano per prevenire danni da future alluvioni prevede 111 opere per nuove infrastrutture entro il 2026, insieme all’adeguamento dell’esistente. Saranno sufficienti?
«No, nel senso che la nostra è una pianura alluvionale, nella quale si sono susseguite tante inondazioni nel tempo, dall’epoca dei benedettini a quella dei braccianti olandesi. Sono state, quindi, realizzate opere artificiali per evitare che il territorio si allaghi ma, negli ultimi due anni, si sono verificati eventi di pioggia che hanno avuto una portata di gran lunga superiore a quella per cui questo sistema è stato studiato.
Cosa si può fare?
«Un piano di opere in grado di aumentare la portata del nostro sistema attraverso casse di espansione, vasche di laminazione e delocalizzazioni: ci sono abitazioni, che, purtroppo, sarà impossibile proteggere. Cercheremo di tutelare la popolazione lasciando libera la scelta rispetto all’accettazione di queste misure. Tuttavia, coloro che aderiranno avranno diritto ad un indennizzo».
In che modo state collaborando col Governo su questo fronte?
«Abbiamo trovato un terreno comune di collaborazione, smettendo di litigare e iniziando a lavorare. E con il commissario Curcio lavoriamo molto bene: è una persona molto competente, finalmente specializzata nella gestione delle emergenze e della ricostruzione».
L’Emilia-Romagna è sempre stata un’eccellenza sanitaria, ma ora non è più al primo posto a livello nazionale. Quali misure state adottando?
«Dobbiamo cercare di puntare all’eccellenza e ristabilire i fondamentali, investendo molto sulla medicina territoriale di prossimità e riorganizzando la rete ospedaliera con criterio. Uno dei temi che abbiamo aggiunto, però, rispetto all’emergenza sanitaria è la centralità della prevenzione».
Che giudizio dà all’attuale amministrazione di Bologna?
«È una città che ha mutato pelle nel giro di pochi anni. Abbiamo un aeroporto che non ha nulla a che fare con quello di dieci anni fa. C’è una stazione dell’alta velocità che è il più grande hub di logistica italiano. Per adeguarsi a questa nuova dimensione, la città deve fare sacrifici. Il tram è una grande ferita, ma provate ad immaginare Bologna tra dieci anni senza un sistema di trasporto come quello con gli attuali ritmi di sviluppo. Lepore si è trovato a fare scelte importanti e coraggiose, ma necessarie».
L'articolo è tratto dal n.1 del Quindici uscito il 9 aprile 2025.