Quindici

Ex cestista, pittore, ex sindaco di Tirana, leader del Partito socialista, ora al suo terzo mandato al governo. Il premier Edi Rama sta tentando di trascinare l’Albania fuori dalla stagnazione che negli ultimi dieci anni l’ha vista “promessa” all’Unione Europea senza successo. Lo scorso 13 dicembre, mentre la Corte costituzionale albanese ha sospeso il Protocollo d’intesa firmato con la premier Giorgia Meloni poi convalidato lunedì scorso, il governo Rama ha annunciato che nei prossimi mesi l’accelerazione della pratica di ingresso nell’Unione Europea prenderà una nuova spinta, grazie all’accordo stretto con OpenAI, il colosso dell’intelligenza artificiale. Un impegno siglato grazie alla collaborazione di Mina Murati, l’ingegnera meccanica e cittadina albanese, direttrice tecnica del gruppo dal 2018. Si tratterebbe del primo Paese a servirsi dell’intelligenza artificiale per smaltire le procedure burocratiche e amministrative indispensabili a soddisfare le richieste di Bruxelles. Più di 280mila disposizioni e misure legali che l’Albania ha l’obbligo di tradurre nella lingua nazionale, lo shqipe, e che il chatbot di OpenAI, ChatGpt, può velocizzare. L’intenzione di Rama è chiara: eliminare buona parte dei problemi che ritiene stiano rallentando la procedura di adesione, migliaia di avvocati e traduttori che stanno costando milioni di euro al Paese. Inoltre, sempre in ottica europea, corteggia l’idea di digitalizzare il più possibile le amministrazioni pubbliche, più volte “richiamate all’ordine” da Bruxelles visti i dubbi di trasparenza. ChatGpt servirà anche a questo, a creare ulteriori servizi complementari alle Pubbliche amministrazioni e a sostituire quelli più esposti alla corruzione. In particolare, a rimpiazzare alcuni dei servizi delle amministrazioni locali competenti in materia di appalti pubblici. Ma sui rischi che una partecipazione così massiccia dell’IA potrà comportare in termini di sorveglianza dei dati e delle informazioni, i giudizi rimangono aperti. Le proposte del governo Rama, come l’ultima e più discussa sui centri di rimpatrio in Albania, sembrano derivare dalla volontà di accreditarsi a livello internazionale e di aprire un dialogo con i Paesi motori dell’Ue. Il coinvolgimento diretto dello Stato, che si è impegnato a gestire più di tremila persone migranti alla volta e circa 36mila l’anno, dimostra a livello europeo un interesse diretto a gestire la crisi umanitaria, più e più volte rimbalzata tra Paesi membri e istituzioni europee. L’operazione però sembra fare acqua da tutte le parti. Il tentativo di smarcarsi, seppur solo idealmente, da questo doppio ticket che richiede all’Albania di procedere ai negoziati europei insieme alla Macedonia del Nord, ha sollevato non poche perplessità, anche interne. Nonostante Rama goda di una forte maggioranza, il protocollo sembra essere stato il frutto di una cooperazione esclusiva tra leader. «I parlamentari non sono stati interpellati nella redazione di questo accordo, Rama ha agito in semi-autonomia», spiega Ivana Ristovska di "East Journal". Ma proprio lunedì scorso la Corte costituzionale, interpellata dall’opposizione a metà dicembre, si è espressa convalidando l’accordo firmato dal premier. Sono state rispedite al mittente le questioni di legittimità costituzionale, non essendo state riscontrate violazioni del principio di sovranità territoriale. Rimangono però forti dubbi rispetto al trattamento da garantire, a quale standard saranno tenuti i migranti una volta detenuti nei centri di rimpatrio. Secondo la Corte costituzionale si opererà con una “duplice giurisdizione” che dunque consentirà di garantire diritti umani e libertà riconosciute sia dalle normative europee sia da quelle albanesi. Più facile a dirsi che a farsi, con quali strumenti l’Unione Europea potrà verificare che le garanzie siano poste in essere, e che il diritto dell’Ue sia rispettato non è ancora chiaro. Ma se anche in Italia dovesse arrivare l’ultima approvazione, dopo quella della Camera dei deputati il 24 gennaio, saranno due i centri albanesi sotto il controllo dell’autorità italiana: uno a Shengjin, punto di registrazione e accoglienza e l’altro a Gjadër, più nell’entroterra, in cui verrà costruito il centro di permanenza per i rimpatri. Quella di Rama, comunque, oltre a sollevare le critiche dell’opposizione e le lamentele del Parlamento completamente ignorato, è stata una scelta che ha trovato parecchia insoddisfazione tra i commentatori politici e l’opinione pubblica. Per molti quella di Rama è sembrata un’operazione di pura propaganda, un salto in lungo senza le adeguate premure del caso. Di questo avviso è anche Pirro Qendro, nato a Berat cinquantanove anni fa e in Italia dal 1994. «Sono sicuro che non si farà, in Albania anziché pensare a come cercare di trattenere la gioventù si pensa a fare queste cose». Qendro nel 2013 ha aperto le porte dell’associazione culturale “La svolta” e mentre racconta il lavoro fatto in questi anni, e le difficoltà nel portare avanti progetti ambiziosi, viene fermato ogni quindici minuti da qualcuno per un saluto. A Bologna e in giro per l’Italia non ha mai smesso di portare avanti progetti di natura culturale. Negli anni ha fatto decine di viaggi su e giù per il Paese, raccogliendo e distribuendo migliaia di libri, cartoline, monete commemorative e documenti di archivio. Poi facendo la spola tra la cinquantina di comuni dove storicamente sono rimasti presenti comunità di emigrati albanesi, partecipando a convegni e organizzando viaggi tra l’Italia e l’Albania. Non ha mai smesso di seguire quello che si è dato come mandato: raccogliere più materiale possibile e incentivare la cultura albanese tra le nuove generazioni. Il suo sogno rimane l’apertura a Bologna di un centro di documentazione, archivio e ricerca, «Vorrei che l’onore che ho provato quando sono arrivato in Italia, e ne ho imparato la storia e la lingua, fosse trasmesso anche a chi verrà dopo di me». Una visione che dà il senso di cosa significhi davvero “cooperazione tra popoli”. E che nel Protocollo d’intesa sembra essere stata sostituita con un progetto non lungimirante, ma di delega a tempo determinato. Un’operazione non inedita: Danimarca e Regno Unito hanno già tentato qualcosa di simile, ma non per questo meno discutibile sul piano politico e umanitario.

 

Questo articolo è uscito nel numero 15 del Quindici, il bimestrale di InCronaca pubblicato il 1 febbraio.

Nell'immagine: Petr Fiala, Dimitar Kovacevski, Edi Rama e Ursula Von der Leyen. Foto: Ansa.