fine vita

La sentenza della Corte costituzionale numero 242 del 2019 sul suicidio assistito è rimasta inascoltata per anni. Almeno questo è ciò che emerge dalla lettura fornita dal presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, all’indomani della delibera sul suicidio assistito approvata dalla regione. Tesi sostenuta anche dall’assessore regionale alla sanità, Raffaele Donini, che ricorda la comunicazione in senso alla sentenza che dichiarava che le «strutture del servizio sanitario sono chiamate a dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale» sul fine vita. 

La procedura da seguire è in cinque step e nel considerarla si comprende il ruolo centrale della Regione, che decide in tema di salute: il malato si rivolge alla propria Asl di riferimento, dopo una verifica di quest’ultima guidata dalla sentenza costituzionale il paziente viene informato sulle soluzioni alternative che potrebbero applicarsi al suo caso. Il fascicolo viene poi inviato al comitato etico dell’Asl e, se quest’ultimo dà l’ok, il paziente si autosomministra il farmaco. I requisiti per l’accesso a questo percorso sono ben definiti: la malattia deve essere grave o comunque non reversibile, non ci deve essere possibilità di guarigione e il richiedente deve avere capacità di intendere e volere. 

Politicamente la questione è tutt’altro che semplice: la prima a ricordarlo è Silvia Piccinini, consigliera del Movimento 5 Stelle che sottolinea come lo strumento della delibera utilizzato per approvare il suicidio assistito «non è resistente alle intemperie della politica, ma modificabile con estrema necessità dalla prossima giunta o anche da un rimpasto di questa. Non possiamo accettare che il diritto di persone in fin di vita sia legato a un cambio di maggioranza». I consiglieri pentastellati vogliono dunque che il voto alla legge avvenga entro sei mesi e non entro un anno come di prassi; ciò che temono è un cambio di passo derivante dal cambio di legislatura. 

Effettivamente il centrosinistra non è del tutto unito sulla questione. Lo dimostra il caso analogo della Regione veneto dove il suicidio assistito non è passato per il voto contrario di una consigliera cattolica del Pd. Anche se la capogruppo del Pd emiliano-romagnolo Marcella Zappaterra risponde che «il processo è alle intenzioni. Capisco che faccia più audience dire che non vogliamo votare, piuttosto che ammettere che non possiamo farlo - dice la dem - il rispetto per le procedure è la prima garanzia di quanto vogliamo dare riscontro alle richieste dei cittadini. Nessuno ha paura di votare ma dobbiamo rispettare le norme». A questo Piccinini risponde che non è legge ma prassi.

Il problema è ovviamente anche a destra; i più critici sono gli esponenti forlivesi di Fratelli d’Italia Luca Bartolini e Vincenzo Bongiorno che affermano: «Bonaccini impone la morte rapida con la penna». Parole forti che hanno spinto Gessica Allegni, segretaria del Pd di Forlì, e Tomas Rubboli dei Giovani Democratici a «moderare i termini del confronto politico. “Imporre la morte” è un’espressione di una barbarie politica estrema, nonché un’accusa gravissima, se presa alla lettera e non ricondotta all'esasperazione dei toni, a cui i comunicati di Fratelli d'Italia ci hanno ormai tristemente abituato». Nel ricordare il ruolo di primo piano della Regione nel garantire un diritto, i due concludono che «la contrarietà a questa scelta è comprensibile perché il tema è delicato. Ma, proprio perché è delicato, invitiamo Fratelli d'Italia a trattarlo in maniera opportuna».

Intanto, mentre il parlamento non sembra intenzionato a legiferare in materia, lunedì prossimo la legge sul suicidio assistito continuerà la sua corsa e con procedura accelerata sbarcherà in commissione Salute del consiglio regionale della Liguria. Giovanni Battista Pastorino di Linea Condivisa e consigliere regionale ligure è tra i firmatari della proposta sostenuta dall’associazione Luca Coscioni, ma è critico nei confronti della decisione di Bonaccini di procedere tramite delibera di giunta e non passando per il dibattito democratico in aula: «Per disciplinare il percorso previsto dalla sentenza della Corte costituzionale è necessaria una legge regionale e non un atto amministrativo come la delibera di giunta. Una scelta che non condivido nel metodo, che va ad alimentare tutte quelle perplessità e ambiguità a cui abbiamo assistito in questi anni e che hanno determinato l'incapacità del Parlamento italiano di affrontare questa materia».

 

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