Fantascienza
«È proprio in certi film, come “Blade Runner” e “2001-Odissea nello spazio”, che diventa palese la connessione tra intelligenza artificiale e autocoscienza: le macchine ci fanno paura, perché non sappiamo come e se possano diventare consapevoli». Così l’ingegnere e cinefilo Carlo Nucci commenta alcuni dei film che fanno parte della rassegna inaugurata ieri al cinema Modernissimo “Pre-visioni di intelligenza artificiale”, organizzata dal Centro Alma Human AI dell’Alma Mater. In programma da febbraio a maggio, obbiettivo della rassegna è, come spiega la direttrice del centro Alma-Ai Michela Milano, «discutere criticamente l’evoluzione cinematografica della rappresentazione dell’AI, spesso associata in numerose pellicole cult, come “Matrix” e “Terminator”, a un immaginario distopico».
Ma come mai l’intelligenza artificiale, oltre ad appassionare, fa anche paura? Perché a differenza di altre invenzioni tecnologiche di portata storica l’AI “auto-apprende” in un modo a noi poco comprensibile. Come spiega Nucci «la novità ha sempre provocato un senso di inquietudine nell’essere umano. Per esempio la scoperta e la diffusione della macchina a vapore, di cui all’inizio non si capiva bene il funzionamento, intimoriva molto per la sua inedita potenza. L’AI, d’altra parte, non è solo un prodotto forte ma è anche il primo a essere intelligente in modo simile all’uomo». Per questo, secondo Nucci, “Blade Runner”, film che lui stesso presenterà il 21 febbraio, è fondamentale per capire il mistero dell’autocoscienza. «Il rapporto del protagonista Rick Deckard con i replicanti lo porta a interrogarsi sulla sua capacità reale di distinguere tra chi è cosciente a sé stesso (umano) e chi no (macchina). Nel film diventa evidente che non esiste test razionale in grado di dimostrarlo. Rick non può verificare l'"umanità" nel suo interlocutore ma soltanto fidarsi». Il rapporto tra fantascienza e AI non si esaurisce, però, nel dar voce all'angoscia che deriva dalla confusione tra umano e artificiale. «L’autocoscienza si posiziona in un’area del cervello ancora sconosciuta, che corrisponde forse all’intuizione creativa, alla parte artistica e scientifica. In “Blade runner” il confine tra uomo e macchina viene meno quando i personaggi desiderano conoscersi e scoprirsi in una prospettiva ottimista».
L’arte sembra diventare uno strumento per capire meglio il funzionamento dell’intelligenza, tanto umana quanto tecnologica. E per questo, come sostiene Milano, un elemento quasi “profetico” caratterizza molte di queste pellicole «che hanno descritto tecnologie ora davvero esistenti. È il caso eclatante di “giustizia preventiva” tratteggiato da “Minority Report”».
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