Quindici
A poco più di due mesi dall’inizio dell’estate, la possibilità che una nuova ondata di richiedenti asilo si riversi in Emilia-Romagna fa tremare il governo regionale. E dopo i numeri record dell’anno scorso, che ha registrato l’arrivo in Regione di quasi 13 mila migranti – di cui più di 3.500 solo nella provincia bolognese – la sfida principale per il sistema di accoglienza dell’Emilia-Romagna sembra riguardare l’assorbimento dei migranti più giovani. Secondo l’assessore regionale al welfare Igor Taruffi, infatti, sono proprio i centri Sai per minori non accompagnati – ovvero le strutture di accoglienza integrata in cui vengono erogati i servizi scolastici e psicologici – «ad aver risentito più degli altri della mancanza concreta di aiuti da parte del Governo per affrontare situazioni di emergenza come quella del 2023». A fronte della presenza in regione di 1.200 migranti bambini e adolescenti su 588 posti Sai finanziati, per Taruffi «la capienza complessiva delle strutture di accoglienza ha già raggiunto a inizio aprile un livello di saturazione, quindi con l’arrivo dell’estate e i nuovi sbarchi la situazione potrà solo peggiorare». È un punto dolente anche per Bologna quello della gestione del flusso dei migranti minori, che l’assessore al welfare Luca Rizzo Nervo spiega essere molto più ampio di quelli adulti. «Il 90% dei minorenni che accogliamo non provengono dagli sbarchi, ma dalla fuga da altre strutture di accoglienza sul territorio italiano. Per questo gli arrivi dei giovanissimi rimangono costanti anche in inverno qui a Bologna, che è una meta attraente data la sua posizione strategica a livello infrastrutturale». Al momento, secondo Rizzo Nervo, il capoluogo emiliano – che dispone di 350 posti Sai per minori – «riesce a essere autosufficiente solo avendo collocato un centinaio di ragazzi in apposite comunità per minori – che rappresentano l’alternativa di accoglienza quando non sono disponibili posti nei Sai e nei Cas – al di fuori del territorio metropolitano e regionale». La situazione di Bologna, poi, è aggravata da una presenza sempre crescente di ospiti nel Cas in via Mattei. «Da qualche settimana i numeri salgono e le condizioni sanitarie sono pessime. Per evitare il collasso della struttura – come si è rischiato lo scorso autunno – bisognerebbe porvi rimedio da subito», racconta Lorenzo Delfino di coordinamento migranti. «Con i suoi 339 punti Sai e 62 Cas, Bologna vanta il progetto di accoglienza diffusa più grande d’Italia» ma, nonostante ciò, Rizzo Nervo pensa che nessun luogo in regione sia immune alle conseguenze di una «pessima gestione del fenomeno migratorio da parte del Governo». A rendere preoccupante la situazione, secondo gli assessori Pd, sarebbe in effetti la mancanza di un intervento «che l’Anci chiede all’esecutivo da un anno e mezzo per ampliare i bandi che promuovano la crescita dei punti Sai per minori», nonché l’introduzione «di un piano nazionale di ricollocamento tra le regioni dei ragazzi, che a differenza degli adulti si spostano da soli e dunque prevalentemente verso le grandi città che vanno facilmente in esubero». A complicare ulteriormente il panorama della gestione dei flussi migratori, poi, si aggiunge l’elemento “esterno” al braccio di ferro tra amministrazioni locali e Governo, quello dei flussi migratori. «L’anno scorso abbiamo toccato il record di sbarchi degli ultimi sette anni. Dai 270 minori che di media arrivavano in accoglienza, siamo passati a picchi di 600, dovendo riempire oltre ai centri Sai anche le comunità per minori, che nella città metropolitana sono 42. Pensiamo che la prossima estate possa riportare numeri altrettanto consistenti, quindi bisogna attuare subito delle misure preventive di gestione e non illuderci di bloccare le partenze come fa Meloni», commenta Rizzo Nervo. Gli fa eco anche Taruffi, che condivide lo stesso timore. «Quella della scorsa estate è stata una situazione quasi senza precedenti, in Italia sono arrivate oltre 150 mila persone. Di sbarchi ce ne sono stati anche qui nel porto di Ravenna, in generale i Comuni e le Regioni hanno dovuto affrontare una situazione a cui non erano preparati». E mentre i numeri dei richiedenti asilo salgono insieme alla preoccupazione di non riuscire a contenerli, per Taruffi «la spesa massima assegnata alla gestione quotidiana dell’accoglienza rimane ferma a 35 euro. Una cifra evidentemente insufficiente che costringe a trovare delle soluzioni alternative, ma inadeguate. Quando mancano le strutture, infatti, i prefetti sono costretti a requisire delle locazioni private per gestire le persone, sborsando più del doppio del denaro, ma garantendo un controllo minore». Ma c’è anche chi, nell’opposizione, vede in quelle alternative alle strutture di accoglienza standard una via da seguire per attuare una gestione migliore dell’immigrazione minorile. Secondo la capogruppo regionale di Fi Valentina Castaldini, infatti, «l’esecutivo regionale Pd ha com- messo un grave errore nel non approvare dei piani di zona volti a promuovere l’integrazione dei minori attraverso l’accesso alle scuole, al mondo del lavoro e, soprattutto, all’affido alle famiglie dell’Emilia-Romagna». Pur condividendo la necessità, da parte del Governo, «di rivedere le politiche di immigrazione», il pensiero di Castaldini si rivolge soprattutto «ai ragazzi che in regione sono in difficoltà e alle famiglie emiliano-romagnole che a loro darebbero un’atten- zione e una cura pari a nessun centro di accoglienza. Arriverà un periodo preoccupante e credo che nell’ultima parte di mandato Taruffi dovrebbe impegnarsi a sdoganare l’affido dei minori stranieri non accompagnati», commenta Castaldini. Ma i problemi non si fermano alla gestione quantitativa dei richiedenti asilo. Nel caso dei minori, spiega l’avvocata Nazzarena Zorzella esperta in immigrazione, è più che mai visibile quanto «le riforme del governo Meloni, soprattutto il decreto Cutro, abbiano penalizzato la presenza di servizi essenziali, come l’assistenza legale e psicologica». Secondo Zorzella, dopo il boom di arrivi dello scorso agosto, «a Bologna e a Parma la situazione è diventata estremamente critica, perché spesso i ragazzi venivano inseriti direttamente nei centri transitori privi di percorsi per l’avviamento scolastico». Altro elemento preoccupante, per Zorzella, sta nella reintroduzione della radiografia del polso come metodo per determinare l’età dei richiedenti asilo. «E’ un sistema scientificamente infondato, usato dal Governo per rispedire i ragazzi a casa piuttosto che rispondere al dovere dell’accoglienza».
In foto la facciata del Cas in via Mattei a Bologna. Foto Ansa
L'articolo è stato già pubblicato su Il Quindici n. 20 dell'11 aprile