Fine vita

La delibera sul fine vita approvata dalla regione Emilia-Romagna sposta il dibattito a livello nazionale: il problema adesso riguarda lo scontro tra il comitato nazionale di bioetica, un organo diretto del consiglio dei ministri, e la delibera regionale che prevede che l’organismo deputato a normare l’accesso del richiedente al percorso sia il neonato Corec, il Comitato regionale per l’etica nella clinica. Il presidente del comitato nazionale bioetica, il professor Angelo Luigi Vescovi, si dice “preoccupato” da questa delibera e chiede alla Regione di cambiarla coinvolgendo il comitato nazionale per evitare troppa differenza tra le regioni. Su questa incongruenza si basa anche il ricorso al Tar della consigliera regionale di Forza Italia Valentina Castaldini, che chiede a Bonaccini di ritirare la delibera.

«La delibera dell’Emilia-Romagna afferma che l’organismo deputato al fornire il parere a chi chiede l’accesso al suicidio assistito sia il COREC, comitato regionale appena istituito, con regole e nomine decise a tavolino dalla stessa giunta, non si sa con quali criteri o insieme a chi, mentre secondo la mia lettura il parere deve essere fornito di Comitati Etici Territoriali, organismi normati da un Decreto del Ministero della Salute e omogenei in tutta Italia» si legge sulla nota diffusa dalla stessa Castaldini. Nel frattempo, l’assessore alla sanità Raffaele Donini ha affermato che la questione verrà approfondita e che se serviranno integrazioni tecniche o revisioni verranno fatte.

Per entrare più a fondo nella vicenda InCronaca ha intervistato Ludovica De Panfilis, presidente del Corec, il nuovo comitato regionale al centro delle polemiche di queste ore.

Bioeticista, De Panfilis è stata componente del comitato per l'etica nella clinica di Reggio Emilia ed è docente di diversi master su cure palliative e biodiritto. Ha preferito non parlare della diatriba politica in corso, ma di concentrarsi sugli aspetti etici, medici e tecnici di una norma complessa.

 

Lei ha già fatto parte del comitato per l’etica nella clinica di Reggio Emilia dove dava la sua opinione su casi vari. Il Corec avrà più o meno lo stesso metodo di lavoro? Può spiegarcelo?

«Il comitato di Reggio Emilia aveva tre compiti principali ovvero dare pareri su casi complessi da un punto di vista etico della pratica clinica, quindi dare supporto etico ai professionisti sanitari dinnanzi a questione eticamente complesse. Il secondo era fare formazione su temi di bioetica e il terzo riguardava la scrittura di pareri di carattere generale su temi più ampi, che non riguardavano casi singoli ma tematiche ampie per esempio l’accesso in pronto soccorso durante il Covid quando c’era la questione dei posti limitati in terapia intensiva. Questo comitato è stato oggetto di un progetto di ricerca di un dottorato e quindi lo abbiamo valutato in maniera sperimentale perché in Emilia Romagna non esistevano strutture del genere. Abbiamo dunque pubblicato alcuni articoli che raccontano un po’ quelle che sono state le richieste ricevute e come le abbiamo gestite e si tratta, anche in quel caso come nel Corec, di pareri obbligatori ma non vincolanti. Il comitato è dunque tenuto a rispondere ai professionisti sanitari che chiedono consulto, ma ovviamente i pareri che il comitato produce non sono vincolanti. Per esempio se noi parliamo di una diatriba tra medici e parenti nei confronti di un paziente non più cosciente e il professionista chiede un parere al comitato etico quest’ultimo dà dei suggerimenti che poi il medico può applicare come no. Lo stesso varrà per il Corec. In questi giorni si parla solo di suicidio assistito ma questi comitati si occupano di tantissime cose e se estesi a livello regionale i temi aumentano».

 

Uno dei requisiti per l’accesso al suicidio assistito è la capacità di intendere e di volere, cosa significa nello specifico?

«Il paziente deve essere cosciente, capace di intendere e di volere e capace di capire la situazione in cui si trova e fare una richiesta razionale e motivata e per altro reiterata. Per intenderci facciamo riferimento al caso di Eluana Englaro: non avrebbe mai potuto chiedere il suicidio assistito e neanche il padre avrebbe potuto chiederlo per lei».

 

Il Corec considererà di consigliare anche delle cure palliative. Le cure palliative possono essere considerate dei deterrenti al suicidio o dei modi per avvicinarcisi in modo il più possibile sereno?

«Le cure palliative sono un approccio totalmente diverso che io non metterei in relazione con il suicidio medicalmente assistito perché sono due scelte di vivere la malattia e di morire che si differenziano profondamente. Le cure palliative a mio giudizio curano la qualità di vita del paziente e dunque prima vengono iniziate e meglio è. Dinnanzi a una prognosi infausta iniziarle in fretta permette di migliorare tutto il percorso di vita del paziente. È chiaro che quando ci sono delle cure palliative che funzionano - ed è il caso dell’Emilia Romagna - questo può rappresentare un deterrente al ricorso al suicidio assistito perché quello che purtroppo non trova spazio in questi giorni è l’estrema sofferenza di chi richiede il suicidio assistito. Noi conosciamo i casi delle persone che lo chiedono perché sono molto poche ed è un’estrema vulnerabilità. Non ci sono dati di letteratura consistenti che supportano la tesi che le palliative fungono da deterrente al suicidio, ma ci sono quelli esperienziali che lo dimostrano. Non sono però un modo più “morbido” per arrivare al suicidio, sono strade completamente diverse. Le cure palliative non anticipano il momento della morte ma accompagnano e anzi se fatte bene allungano la vita perché il paziente soffre di meno per cui devono essere proprio slegate dal discorso del suicidio assistito».

 

Esiste una lista di persone che ha già inoltrato le domande per l’accesso al suicidio assistito? Si può già fare o bisogna attendere dei tecnicismi? 

«In Emilia Romagna non sono ancora arrivate richieste di suicidio assistito, in altre regioni sì sulla base della sentenza della corte costituzionale. Ogni azienda sanitaria che ha ricevuto la richiesta si è comportata in maniera differente proprio perché mancano delle leggi sia a livello regionale che nazionale. Alcuni casi sono andati a buon fine con richiesta accettata, alcuni casi sono stati bloccati ma quel che mancava era l’uniformità. Ciò che ha tentato di fare l’Emilia Romagna con questa delibera è garantire uniformità a livello territoriale. Con le polemiche attuali che ci sono però bisognerà capire quali risvolti ci saranno».

 

Foto Assemblea Legislativa Emilia Romagna