Quindici

boxe

Una vita passata a combattere. Per la cittadinanza. Per i diritti propri, dei migranti, delle persone che vivono in Bolognina. In corsia, come infermiera. E anche e soprattutto sul ring, dove grazie alla vittoria contro l’inglese Jordan Barker Porter, ha conquistato il titolo europeo silver Ebu il 5 aprile. La storia di Pamela Malvina Noutcho Sawa è quella di una vita passata a fare a pugni contro i pregiudizi, a partire dalle enormi difficoltà per riuscire a ottenere la cittadinanza, per la quale ha dovuto attendere oltre un decennio.

È nata in Camerun, ha 32 anni, è in Italia da quando ne aveva 8, ma la cittadinanza è riuscita ad averla soltanto nell’agosto del 2022. Ha raggiunto da bambina il padre che lavorava a Perugia e una volta finita la scuola ha deciso di trasferirsi sotto le due Torri. Appena diventata maggiorenne ha cercato di ottenere la cittadinanza, ma a causa degli ostacoli burocratici ci è voluto moltissimo tempo. Pamela ricorda le peripezie che ha dovuto affrontare per diventare cittadina italiana. «Quando mi sono trasferita a Bologna, essendomi staccata dal nucleo familiare, serviva il Cud di tre anni consecutivi, cosa che non avevo quando facevo l’università. Poi all’epoca bisognava presentare anche il casellario giudiziale del Paese d’origine, cosa difficilissima da fare nei Paesi africani. Anche quando poi questo documento non doveva essere più necessario, a Perugia (dove aveva fatto la domanda di cittadinanza ndr) lo volevano comunque». Pamela è riuscita a ottenere la cittadinanza soltanto nel 2022. Senza questo riconoscimento, la sua carriera non avrebbe mai potuto prendere la svolta che ha avuto negli ultimi mesi. Prima con il titolo italiano, conquistato lo scorso settembre, poi quello europeo, conquistato davanti a quasi 2500 spettatori, riportando la grande boxe al Paladozza dopo 12 anni.

La pugile è consapevole che probabilmente la sua carriera sportiva e la notorietà acquisita l’abbiano agevolata nell’ottenere la cittadinanza. Ma l’atleta ci tiene comunque a sottolineare come questa cosa sia ingiusta. «La cittadinanza è un diritto. Non voglio assolutamente accettare che la si ottenga per merito. Ci sono delle regole, che dicono che quando si nasce in Italia o si vive qui per dieci anni, presentando la documentazione adeguata, si può ricevere la cittadinanza», ribadisce con forza. Il pugilato è uno sport che, da sempre, è stato ritenuto prettamente maschile. «Per molti la boxe femminile è uno sport di serie b, come se fossero due donne che lottano nel fango. Invece c’è la stessa tecnica e lo stesso impegno. Noi donne, spesso, ci diamo dentro anche di più degli uomini, perché vogliamo sempre dimostrare di potercela fare», racconta Pamela. Questa disparità si riflette anche nei compensi degli incontri. «Una donna in Italia viene pagata tra i 600 e gli 800 euro, massimo 1000, mentre un uomo viene pagato mediamente 1200-1300, con punte fino ai 1500 euro». All’estero le cifre sono decisamente più alte, ma la disparità economica rimane. «Katie Taylor, la massima esponente del pugilato femminile, nel suo incontro più pagato ha guadagnato un milione, mentre atleti maschi, anche di livello più basso e con meno pubblico, guadagnano tre-quattro volte tanto», spiega Pamela. Per mantenersi, lavora come infermiera al pronto soccorso dell’ospedale Maggiore. Attività molto pesante, che lo è stata ancora di più, soprattutto dal punto di vista emotivo, durante il periodo della pandemia. «Più che dal punto di vista fisico, era pesante perché c’erano tante domande, ma neanche noi avevamo le risposte», ricorda la pugile.

Nel suo lavoro, Pamela si trova anche a fare i conti con le discriminazioni razziali: «Più delle persone che ti dicono “negro di merda”, quello che fa più male e che è più difficile da cambiare, sono i pregiudizi. Capita che arrivino delle signore che mi chiedano “Come mai lavori qua?”. Ma alla mia risposta che ho passato un concorso, replicano che anche la loro figlia lo ha tentato. Mi chiedono come mai io sono passata e loro figlia no, come a intendere che abbia avuto una corsia preferenziale per il colore della mia pelle e abbia rubato il posto a qualcuno». Pamela combatte per la Bolognina boxe. Quando si entra dentro la palestra, il motto che campeggia è “Gente che lotta dentro e fuori dal ring”. Cercano di dare la possibilità di svolgere attività sportiva alle persone del quartiere, mantenendo prezzi popolari per i loro corsi. E per poter avere una sede nella quale svolgere la loro attività hanno dovuto lottare, e stanno, lottando. Nel 2022, dopo la pandemia, è arrivato infatti lo sfratto dalla loro sede in via del Lavoro, a causa dei residenti che si lamentavano per il troppo rumore. Ora la sede è in via Alfieri Maserati, vicino alla strada Porrettana, ma il costo dell’affitto complica la loro idea di poter tenere bassi i prezzi dei loro corsi. La lotta in ambito sociale coinvolge in pieno anche Pamela. Già quando vinse nello scorso settembre il titolo italiano, dedicò la vittoria alle persone che vivevano nell’occupazione abitativa di via Corticella e prima di combattere per il titolo europeo è andata a trovare chi attualmente risiede nell’occupazione di via Carracci che, insieme agli attivisti di Plat, l’hanno sostenuta con cori e striscioni nel corso dell’incontro.

Temi sociali che si trova ad affrontare anche nel suo lavoro: «Ho avuto un paziente che ha avuto la prima diagnosi di diabete ma quando è stato sfrattato, non avendo una casa, per mesi non ha avuto un medico che gli potesse prescrivere le medicine da prendere». Pamela sottolinea quindi come questa persona «è stata ricoverata semplicemente perché non aveva un medico di base che la prendesse in carico». Sorte simile che si trovano ad affrontare anche molti studenti. «Vengono portati in pronto soccorso perché non sapendo come pagarsi un affitto, dormono in stazione. Ho sempre visto Bologna come la città dei sogni a misura d’uomo, dove riesci ad avere una vita e un affitto decenti anche senza guadagnare moltissimo. E una cosa del genere da questa città non me l’aspetto». Pamela è consapevole, anche per le battaglie sociali che porta avanti, di essere diventata un simbolo per la Bolognina: «Sento moltissimi ragazzi dire che venendo da questo quartiere molte cose non le potranno fare, invece vorrei che la Bolognina fosse ambiziosa, che dica “se non mi dai una casa occupo quel posto pubblico perché è mio diritto farlo”. La Bolognina che fa questo può ambire a qualsiasi cosa a livello economico, politico e diventare un luogo in cui si possono coltivare i propri sogni».