antifascismo

luca alessandrini

«Se c'è un motivo per cui il 25 aprile è una festa fondamentale per il Paese ancora oggi è perché in quell'occasione nacque una nuova idea di democrazia, un'idea di nuovo percorso che vide la partecipazione di un intero popolo». Queste le parole con cui Luca Alessandrini, storico ed ex direttore dell'Istituto Storico Parri Emilia-Romagna, parla della festa della Liberazione. 

 

Cosa accadde il 21 aprile 1945? 

 

«Quel giorno Bologna è stata liberata e trattandosi della prima grande città del nord a essere liberata è un passaggio fondamentale della conclusione della seconda guerra mondiale in Italia. Nei giorni precedenti gli Alleati avevano oltrepassato le linee tedesche. L’ottava armata britannica il 10 aprile aveva sfondato in Romagna, superando il fiume Senio, e gli statunitensi della quinta armata erano scesi dalla valle del Reno e dalla collina bolognese per convergere su Bologna. Le prime forze che giungono nel capoluogo emiliano sono proprio l’ottava armata britannica, alla cui testa mette il secondo corpo d’armata polacco. Diciamo che si parla di seconda guerra mondiale anche a proposito della composizione eterogenea dell’ottava armata britannica. Lungo la via Emilia, infatti,  erano stati schierati i neozelandesi e i gurka nepalesi, i polacchi e gli italiani, la brigata ebraica costituita da ebrei di Palestina. C'erano combattenti che venivano dalle parti più svariate del mondo. Era un esercito imperiale che coinvolgeva tutto il mondo che afferiva all’impero britannico.

Alle 6 di mattina del 21 aprile 1945, il secondo corpo d’armata polacco entra in città da porta Mazzini.

Nella notte il comando tedesco aveva deciso di evacuare la città. Il comandante tedesco di Bologna era Fridolin von Senger und Etterlin, un generale sicuramente conservatore, sicuramente fedele al proprio Stato, ma non nazista in senso pieno. Von Senger quella notte decise di disobbedire agli ordini di Hitler, il quale aveva stabilito che Bologna dovesse essere difesa fino all’ultimo, combattendo casa per casa e distruggendola. Von Senger ritenne assurdo fare ciò per motivi morali, perché non aveva senso visto che ormai la guerra era persa, e strategici. Il timore del comandante tedesco era, restando a Bologna, di essere accerchiato dalle forze alleate americane e inglesi e fu così che la sera del 20 aprile i tedeschi lasciarono la città. Per questa sua decisione, Von Senger venne poi assolto dall’accusa di essere un criminale di guerra. Le altre ragioni per cui von Senger non venne condannato furono il modo in cui aveva condotto la guerra e il fatto che non fosse un nazista. 

Tornando al 21 aprile, un aspetto di cui bisogna tener conto è che a Bologna non ci fu un’insurrezione proprio perché i tedeschi si erano ritirati e i partigiani erano già pronti occupare le loro posizioni».

 

Ci si avvicina al 25 aprile. Perché è così importante quella data?

 

«Il 25 aprile per il Paese ha un significato di grande importanza. Va sottolineato che è stata scelta come data non perché la guerra sia cessata in quella data. La guerra è finita il 3 maggio.

Ciò che dobbiamo comprendere è che il 25 aprile è una festa attiva. È la celebrazione di un popolo che insorge per costruire la propria libertà, non una libertà astratta, ma una libertà concreta. La Resistenza è una continua elaborazione e discussione della democrazia. Per questo il 25 aprile è stata scelta come data simbolica della Liberazione. La Resistenza non comprende solo i partigiani. I partigiani erano pochi, ma erano moltissimi quelli che collaboravano e rischiavano con loro. La Resistenza esce dal fallimento dalle tre grandi ipotesi liberali precedenti, cioè l’Italia liberale, la repubblica di Weimar e la terza repubblica francese. Bisognava trovare qualcosa di nuovo che non ripetesse gli errori che quelle tre passate democrazie avevano commesso». 

 

L'anno scorso mi parlava di un diffuso sentimento di anti-antifascismo. 

 

«Noi abbiamo un governo di postfascisti che non hanno fatto i conti con il loro passato neofascista. Attenzione, parlo di passato neofascista e non fascista. Rifiutano l'idea di democrazia antifascista per i suoi contenuti più che per le parole. La democrazia antifascista prevede i corpi intermedi e la mediazione, loro sono contrari alla mediazione, loro sono per il capo che parla direttamente al popolo e che decide. La democrazia antifascista si basa sull'eguaglianza delle persone non solo di fronte alla legge, ma anche a proposito delle condizioni materiali dell'esistenza e qui dobbiamo ricordarci cosa dice il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione. La democrazia antifascista prevede il conflitto, mentre il fascismo lo nega. Sul conflitto voglio però essere chiaro: non è un conflitto che degenera in guerra, ma è il conflitto nel senso di vita sociale fatta di divisioni. Pensiamo al conflitto del lavoro, al conflitto delle minoranze linguistiche, al conflitto basato sulla religione. Se uno è fortemente cattolico e manda il figlio in una scuola laica, ecco che si genera un "conflitto", così come la stessa cosa avviene se una persona è atea e ha un figlio che studia in una scuola cattolica. I problemi basati sulle diversità legate alla lingua, alla religione, al genere, alle diverse generazioni, sono esempi di conflitti. Questi però sono conflitti che non degenerano in violenza e in guerra. Si tratta invece di conflitti che si basano su problemi difficili da risolvere e che sono legati al pluralismo di cui è fatta la democrazia. Il conflitto che intendo è quindi la coesistenza di posizioni diverse che non sono facilmente riconducibili a un'unica soluzione. Gli imprenditori dicono di non avere abbastanza soldi per dare salari più alti, mentre i lavoratori protestano per avere paghe più alte. Questo è un esempio di conflitto e la democrazia fa sì che questo si dispieghi attraverso tutti i mezzi legati al dibattito pubblico, attraverso gli scioperi, attraverso la stampa... Il fascismo invece non accetta questo conflitto. La soluzione fascista è l'assenza di conflitto attraverso l'imposizione del volere del capo, dell'uomo forte che decide tutto. Il fascismo che cosa ha fatto negli anni Venti? Ha detto "il lavoro è guerra e noi stiamo dalla parte degli imprenditori" e da lì è partita la repressione politica di chi invece sosteneva le rivendicazioni politiche e sociali dei lavoratori, cioè allora i socialisti e i comunisti. Per quanto riguarda l'anti-antifascismo, lo vedo anche adesso. Questo governo nega i valori dell'antifascismo. Ogni volta che c'è un conflitto nel senso che ho sottolineato, c'è per loro qualcuno che ha ragione, il conflitto diventa scontro e il capo parla direttamente al popolo. Non ci sono mediazioni. Vengono disprezzati i sindacati e lo stesso Parlamento, se consideriamo il loro progetto di premierato, basato sull'idea di "esecutivo forte", con il premier con in mano tutto il potere». 

 

Le chiederei allora cosa pensa della decisione di sospendere il monologo che Scurati avrebbe dovuto leggere su Rai 3. 

 

«Ecco. Altro esempio di anti-antifascismo. Ciò che dà fastidio di Scurati è non tanto che faccia una critica al premier Meloni, ma soprattutto che un intellettuale possa parlare liberamente in prima serata di fascismo e che possa accostare in chiave realistica nel suo monologo la storia del fascismo alle scelte politiche di questo governo» 

 

In foto, Luca Alessandrini. Foto di Lavinia Sdoga