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‘Guglielmo Marconi e la Marina italiana. Storia di un legame indissolubile’. È così che il contrammiraglio Silvano Benedettiex direttore del Museo Navale de La Spezia e presidente della Pro Loco del Golfo – ha scelto d’intitolare il suo nuovo libro, in uscita da oggi 16 aprile per Töpffer edizioni. In occasione del 150° anniversario della nascita di Guglielmo Marconi – che ricorrerà il prossimo 25 aprile – Benedetti ha realizzato un testo per ripercorrere la vita del personaggio, il suo operato e le sue sperimentazioni scientifiche. Nel saggio il contrammiraglio parla anche degli ultimi reperti marconiani – i più antichi al mondo, oggi conservati nel Museo Navale de La Speziasui quali mancava ancora una pubblicazione ufficiale.

Quella per Marconi è sempre stata una sua grande passione. Com’è nata?  
«Ho sempre desiderato omaggiare la figura di Guglielmo Marconi, celebrarlo per tutto ciò che ha fatto, specialmente per La Spezia. Arrivò qui molto tempo fa, nel 1897, e poi ci tornò ripetute volte per collaborare con la Marina Militare. Il legame che ha instaurato con questa città è strettissimo e io voglio approfondirne ogni aspetto».

Quali sono gli aspetti di novità del suo saggio?
«Di nuovo su Marconi c’è ben poco da dire, quasi tutto è stato già scritto in altri testi. Nel comporlo mi sono ispirato ad altri libri, come quello della figlia Maria Elettra, o quello di Luigi Solari. Ho voluto realizzare un parallelo tra l’attività scientifica di Marconi e lo sviluppo della radiotelegrafia nell’ambiente della Marina italiana».

Il suo testo è corredato da molte foto. Da dove provengono?
«La loro raccolta è il frutto di un’accurata ricerca. Alcune, quelle più antiche, sono documenti dell’epoca, che ritraggono la figura di Marconi nel suo rapporto con la Marina. Altre, invece, sono state realizzate nel Museo Navale di La Spezia e mostrano proprio la collezione di apparati marconiani contenuti al suo interno».

Da cos’è composta la collezione?
«Appunti, strumenti, quaderni, macchinari: la raccolta di apparati marconiani più grande del mondo. Ma la novità più importante sono sicuramente le ultime due donazioni fatte nel 2017, le più antichi mai rinvenuti sinora». 


Quali sono?
«Le zone telegrafiche e il coherer, entrambi risalenti al 1897. A donarli al Museo sono stati i familiari di Mario Gaetano Da Pozzo, il marinaio telegrafista che ne era in possesso. Le zone telegrafiche consistono in piccole striscioline di carta, sulle quali venivano stampati i punti e le linee dell’alfabeto morse, per trasmettere telegrammi. Il coherer, invece, è un tubicino di vetro, in grado di attivare o disattivare la ricezione dei messaggi, in base alla presenza o all’assenza di un campo elettromagnetico».

Marconi è “vivo” ancora oggi?

«Sì, lo ritroviamo in tante cose. Innanzitutto, nell’intelligenza artificiale, che possiede le stesse capacità di sviluppo della radiotelegrafia delle origini. E poi nei cellulari. È lui il padre del wireless, delle comunicazioni senza filo. Il telefono viene proprio da questo, è una diretta derivazione della radio. Le sue invenzioni, ancora oggi, permeano interamente la nostra realtà».

Marconi era consapevole dell’importanza di queste sue invenzioni?

«Sì, ma temeva che l’uomo potesse utilizzarle in modo sbagliato. In una delle sue dichiarazioni più famose disse proprio: “Queste sperimentazioni sono fatte per unire i popoli, non per dividerli”». 

Tra lui e la Marina c’è stato un rapporto molto forte. Come si è creato?

«Fino alla fine dell’Ottocento, quando una nave si allontanava dalla costa e prendeva il mare, non aveva più possibilità di rimanere in contatto con la terraferma. Ciò rendeva impossibile coordinare le attività, sia militari che mercantili, ma grazie al sistema delle telecomunicazioni si riuscì a risolvere questo problema. È dunque per questo che quelli della Marina hanno apprezzato il progetto di Marconi: è stata una soluzione a uno dei loro limiti più grandi».

Furono molte le navi che, perlomeno in origine, si dotarono del sistema di telecomunicazione?
«Sì, quasi tutte. Ne è un esempio il Titanic. Nel 1912, solo quindici anni dopo le sperimentazioni di Marconi, gran parte dei passeggeri si salvarono proprio grazie alla telegrafia. È proprio utilizzando questo sistema, infatti, che il Titanic riuscì a inviare segnali d’allarme alle navi vicine, per chiedere aiuto».

 

 

In copertina: Guglielmo Marconi. Foto presa da Google con Licenza Creative Commons