Quindici
Attori internazionali cruciali per la politica estera delle superpotenze saranno chiamati alle urne per eleggere i prossimi leader. Taiwan e Russia si sono già espressi, India, Unione Europea, gli stessi Usa e il Regno Unito lo faranno. Abbiamo chiesto a due esperti se e come le geometrie geopolitiche del globo cambieranno.
Un anno, 76 Paesi al voto con più di metà della popolazione mondiale. Gli Stati Uniti, che eleggeranno il presidente il 5 novembre, e la Cina, che nel marzo 2023 ha acclamato Xi Jinping presidente per la terza volta di fila, attendono i risultati in qualità di superpotenze impegnate nel Risiko delle influenze. Mosca e Pechino potrebbero trarre un vantaggio dall’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump mentre l’attuale presidente Joe Biden punta a riconfermarsi alla guida dello Stato. Taiwan, India, Corea del Sud, Unione Europea, Brasile, Regno Unito e Stati africani come Ghana, Sudafrica, Algeria e Tunisia sono solo alcuni Paesi coinvolti. Ma per Matteo Battistini, professore associato di Scienze politiche e sociali all’Università di Bologna ed esperto di Stati Uniti, «esistono relazioni, una capacità diplomatica che in qualche modo vanno oltre gli schieramenti politici». Per esempio in Unione Europea, al voto per rinnovare il Parlamento tra il 6 e il 9 giugno, «un’affermazione delle destre, soprattutto nei paesi di Visegrad, costituisce un problema per Washington rispetto alle loro posizioni sulla Russia, ma questo non si può dire per la destra italiana, presumibilmente anche per quella francese. L’amministrazione Biden ha avuto cura di tessere relazioni anche con leader, figure, formazioni, che non avevano immediatamente sostenuto le posizioni americane sull’Ucraina». Il voto sarà importante anche per definire i rapporti futuri con il Dragone. Secondo Antonio Fiori, professore associato di Scienze politiche e sociali all’Università di Bologna, di cui presiede anche l’Asia Institute, «l’Unione Europea ha cercato di recente di ridurre la propria dipendenza dai settori critici in cui la Cina è più forte, anche se è ben conscia che uno scontro con Pechino porterebbe a pesanti conseguenze economiche e diplomatiche». Tra i paesi che hanno votato c’è Taiwan, dove il Partito Progressista Democratico e la sua linea autonomista verso la Cina sono rimasti al potere con Lai Ching-Te. La Russia, dopo l’eliminazione del principale oppositore, Aleksei Navalny, ha riconfermato Putin come presidente. Circolano in rete i video di due donne che eludendo lo sguardo di un agente, apparentemente ignaro, versano mucchi di schede elettorali in un’urna trasparente o di un soldato che entra nelle cabine con passamontagna e kalashnikov e osserva un uomo nel momento della scelta.
A pochi giorni dalla vittoria di Putin, l’attacco terroristico alla Crocus City hall di Mosca con più di 139 morti e circa 180 feriti ha subito messo alla prova lo “zar”. Nonostante l’Isis abbia rivendicato l’azione, la Russia ha accusato Ucraina, Stati Uniti e Gran Bretagna di essere coinvolti. Smentite sono arrivate da più voci ma il Cremlino ha subito condotto attacchi missilistici contro obiettivi ucraini. Un missile ha brevemente violato lo spazio aereo polacco e ora la Nato teme un attacco di Putin e un allargamento del conflitto.
Nonostante il campo occidentale abbia condannato l’irregolarità delle votazioni russe, arrivando a bollarle come «farsa», non sono mancate le congratulazioni da altre aree del globo. Messaggi sono arrivati da Cina, Turchia, Pakistan, che l’8 febbraio ha votato per la camera bassa del Parlamento. Ma anche da paesi dell’Opec+, di cui è parte la Russia, come Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Algeria (andrà alle presidenziali in dicembre), da Brasile, Qatar, Corea del Nord, Siria, Cuba e Venezuela (alle presidenziali il 28 luglio).
Dall’Africa sono giunte le congratulazioni del Mali, dove opera la Wagner. Il governo di transizione, insediato dopo il colpo di stato, aveva concordato elezioni per il febbraio 2024 con la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ma sono state ora rinviate a data da destinarsi. Anche l’India di Narendra Modi ha consegnato a Putin i propri complimenti. L’attuale presidente è dato vincitore dai sondaggi con il suo partito nazionalista indù Bharatiya Janata Party (Bjp). Il Paese è uno degli undici membri dei Brics insieme a Russia, Brasile e Cina. Se con la prima ha firmato una Dichiarazione sulla Partnership strategica nel 2000, ha relazioni che affondano le radici nel Trattato di pace, amicizia e cooperazione del 1971 e continua a trattare l’acquisto di ingenti quantità di petrolio, con l’ultima vive una rivalità che si è «acuita a causa delle configgenti ambizioni globali dei due Paesi – spiega Fiori –. Sotto Modi, l’India ha fatto molti passi in avanti nel processo di contro-bilanciamento della Cina sia a livello regionale sia a livello globale. Si veda, per esempio, il recente Corridoio economico India-Medio-Oriente-Europa, che almeno in linea di principio, potrebbe essere una efficace risposta alla Nuova Via della Seta».
Biden per proseguire la propria politica estera dovrà confermarsi nel rinnovato confronto con Donald Trump. Putin si è espresso più volte sulle elezioni presidenziali statunitensi: «Biden è più esperto di politica e per questo la Russia preferirebbe lui rispetto a Trump come presidente degli Stati Uniti», ha dichiarato a febbraio. Giudizio confermato, sarcastico, anche dopo che il presidente statunitense lo aveva definito «pazzo figlio di p…». Parole da inserire nel «quadro che ha a che fare con anche le precedenti elezioni statunitensi, che hanno visto contrapposti Biden e Trump, a cui sono seguite accuse e inchieste anche sull’eventuale ingerenza russa – spiega Battistini –. Queste dichiarazioni sono un modo per influenzare o tendere le relazioni anche nell’opinione pubblica statunitense rispetto al conflitto russoucraino e al sostegno incondizionato che Biden ha dato all’Ucraina.
La posizione russa mi pare ormai conclamata relativamente al fatto che auspicano che le elezioni vengano vinte da Trump». La prospettiva cinese è un po’ diversa. «Non esiste un candidato che “conviene” alla Cina – spiega Fiori – Biden ha cercato debolmente di rintracciare dei punti di collaborazione con Pechino. I cinesi, però, sono preoccupati della sua azione, tesa a collaborare con molti attori della regione dell’Indo-Pacifico proprio in funzione di contenimento della Cina. Biden ha anche fatto chiaramente capire che in caso di attacco cinese a Taiwan, gli Stati Uniti si impegnerebbero al fine di difendere l’isola». Dall’altro lato «è plausibile che Trump possa riproporre una postura piuttosto severa nei confronti di Pechino. Non sarebbe certamente, anche visti i precedenti con la Cina, un presidente più “semplice”. Eppure, ciò che traspare dalla stampa cinese è che Trump sarebbe preferibile a causa della sua stessa “pericolosità” per l’assetto democratico americano e per la sua imprevedibilità, anche nei rapporti con quelli che normalmente vengono considerati come alleati. Fattori, quindi, che potrebbero tornare utili a Pechino. Oltretutto, molti in Cina reputano Biden come un avversario più “tosto” a causa del suo fermo approccio basato sui valori condivisi, che spesso è stato capace di dare vita a un fronte unito occidentale, che si contrapponesse alla Cina». Anche per Battistini un cambio alla Casa Bianca non andrà a interrompere la rivalità sino-americana: «Cambieranno linguaggio, presumibilmente diversi livelli di policy tra Biden e Trump, ma che ci sia una tensione tra Stati Uniti e Cina è ormai una questione di lungo periodo ed è destinata a rimanere».
Foto Ansa
Questo articolo è già stato pubblicato nel supplemento "Quindici" uscito il 27 marzo.