Quindici

Anche se l’umanità intera smettesse all’istante di fare qualsiasi cosa stessa facendo e si mettesse una calcolatrice in mano, in un anno non riuscirebbe comunque a fare tanti calcoli quanti Leonardo. Sesto al mondo nella top 500 per potenza di calcolo. Insomma, uno che sà il fatto suo. Ma Leonardo non è umano. È un intreccio di centinaia di metri di cavi, ventole, tubi. Un assemblaggio di 5.000 server e 115 armadietti che custodiscono infinite possibilità di calcolo e previsione e pesano 360mila chili, come 470 persone insieme disposte su una struttura a tre livelli che consente di sorreggere il “peso della conoscenza”. Cuore pulsante del Tecnopolo e punto nevralgico della Bologna Data Valley, questo supercomputer - dal nome piuttosto familiare - è costato 240 milioni euro, senza contare le infrastrutture che abita. Per costruirgli una casa si sono dati da fare più di duecento operai contemporaneamente. I fondi per coprirne le spese, facendo a metà, sono arrivati in parte da Bruxelles e in parte dall’Italia. La sua grande casa invece è stata finanziata dalla Regione. Anche se quel che accade dentro le mura domestiche è cosa difficile da decifrare. Cosa si fa realmente nei “luoghi di scienza”, chi li abita - oltre ai giganti d’acciaio - e, soprattutto, a cosa servono? Tutto parte dai dati. Patrimonio inestimabile ai giorni nostri, sono una risorsa preziosissima che può essere messa a frutto anche per il bene della comunità. Come si trovano, estraggono, elaborano, utilizzano o ancora cosa siano con esattezza è un dogma sconosciuto ai più. Possono configurarsi come un qualcosa che nell’immaginario comune assomiglia a codici alfanumerici lunghissimi e indecifrabili color verde su monitor nero. Proprio come quelli che appaiono sui film con gli hacker. Possono essere date di compleanno, nomi e foto. In altri casi possono essere video spinti da un algoritmo invisibile che “osserva” cosa ci piace e cosa no. Altre volte si trasformano in previsioni che consentono di capire se il nostro volo per una gita fuori porta potrà partire oppure no. I dati insomma sono qualcosa di intangibile e volatile che, nella maggior parte dei casi, si percepisce principalmente con il senso della vista. Eppure anche i dati hanno un “corpo”, che è fatto di fibre, cassettoni, cavi, fili intrecciati e così via. “Giganti di ferro” anche detti centri di calcolo o supercomputer. In Emilia-Romagna ce ne sono undici, che macinano dati su dati ogni secondo che passa, ma il più potente è proprio Leonardo: secondo al mondo per l’applicazione di intelligenza artificiale. E così Bologna si è conquistata un nuovo appellativo.

Tutti i suoi appellativi finiscono con il termine inglese “valley” e anche questo non fa eccezione. Motor Valley, Packaging Valley, Food Valley e, da qualche anno, Data Valley. Oltre al concetto, la Regione punta in alto e vuole costruire un vero e proprio quartiere all’avanguardia. Si chiamerà Tek, un acronimo che sintetizza quelle che saranno le caratteristiche del distretto del futuro: tecnologia, intrattenimento e sapere. Un investimento di pubblico e privato da 1,5 miliardi per riqualificare 227 ettari tra la Bolognina e San Donato. Un «sogno realizzabile», come lo ha definito Romano Prodi al cinema Modernissimo durante la presentazione del progetto. Sulle tempistiche dei lavori non c’è certezza, si sa però che via Stalingrado diventerà un viale alberato costeggiato dai luoghi di scienza. Inoltre, la caserma Sani e le ex officine Casaralta diventeranno la casa per scienziate e ricercatori che lavoreranno nella Silicon Valley bolognese. Se ne attendono circa 1.500, forse anche di più. Nel frattempo proseguono i cantieri all’ex fabbrica di tabacco, dove sorgerà il vero cuore pulsante del distretto dell’innovazione di Bologna. La maggior parte delle infrastrutture saranno pronte tra 2024 e 2025, anche in vista del G7 della Scienza e innovazione e dell’apertura della quattordicesima università dell’Onu. Sì perchè proprio il Tecnopolo, tra il 9 e l’11 luglio di quest’anno, ospiterà gruppi di rappresentanti da Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Questi primi tasselli che si aggiungono al quadro sottolineano quanto «la rivoluzione del Tecnopolo si fa già sentire. Bologna - racconta il sindaco Matteo Lepore - nel XV secolo era capitale della seta. La stessa forza e la stessa visione di allora la dobbiamo avere oggi per il digitale, che è la nostra nuova seta». L’ambizione di diventare un polo fortemente attrattivo è condivisa anche da Francesco Ubertini, presidente di Cineca e Ifab. E’ successo già qualche anno fa «quando il Cern di Ginevra, per fare esperimenti sulle particelle, decide di dotarsi di una sua rete di calcolo e tra le sedi sceglie anche Bologna», gestita dall’Istituto nazionale di fisica nucleare. Man mano si sta creando «un vero e proprio ecosistema nazionale ed europeo, che ha il suo quartier generale nel luogo fisico del Tecnopolo, ma che si irradia su tutto il Paese e in Europa stessa», spiega Ubertini. Solo un mese fa Bruxelles «ha anticipato la road map per quanto riguarda l’innovazione e noi stiamo già lavorando all’aggiornamento del nostro supercomputer Leonardo verso il 2026». Come annunciato dalla presidente Ue Ursula Von der Leyen: «Non si parla più di centri di calcolo, ma di fabbriche di intelligenza artificiale».

Stando alle descrizioni fornite da Bruxelles, su come dovranno essere questi luoghi: «È esattamente ciò che abbiamo già fatto noi. Una cosa interessante - prosegue Ubertini - è che venga utilizzata la parola fabbrica, legata quindi a un concetto di produzione. E fa sorridere, perchè il Tecnopolo era una fabbrica. Questo progetto di rigenerazione urbana è una trasformazione di una fabbrica in una nuova». Sull’importanza del Tecnopolo anche a livello europeo è interessante che sia stato scelto, insieme a Forlì, come sede della riunione ministeriale in materia di Scienza e Innovazione. Proprio in uno dei capannoni - che anni fa custodiva il tabacco - a luglio 2024 verrà allestito un centro visite, «dove poter capire in maniera accattivante cosa accade in questo ecosistema e anche una zona per gli eventi». A quel punto sarà anche possibile poter fare delle visite guidate, «sono tantissime le scuole che ce le chiedono». Nuove infrastrutture, nuovi progetti, nuove menti a lavoro per la scienza, insomma un futuro tutto in divenire quello che fa e si fa in via Stalingrado. Tornando al cuore della Data Valley, Leonardo, ci sono delle novità in vista. Entrato in produzione nell’agosto del 2023, ora si prepara ad accogliere Lisa, il suo upgrade. Da allora il supercomputer ha macinato 806 progetti e conta 2.565 utenti attivi, di utilizzatori insomma. Ma prima di lui, nel 2021 arriva anche il cervellone del Centro europeo per le previsioni meteorologiche (Ecmwf), che nel 2017 “abbandona” la sua sede a Reading, nel Regno Unito, in cui abitava dal 1975. Nella sede inglese infatti per un cervellone così non c’era sufficiente spazio ed ecco che vincendo un bando di gara il Tecnopolo diventa la nuova casa del supercomputer. Cinque volte più potente del cugino inglese, il supercalcolatore bolognese è in grado di effettuare un milione di miliardi di operazioni al secondo. Sonde di aerei, navi e satelliti ogni giorno inviano una cosa come 800 milioni di dati e osservazioni da tutto il mondo e che, debitamente mescolati, diventano il “che tempo farà domani?” per 30 nazioni. Ogni giorno vengono create quattro previsioni, appena il supercalcolatore ne genera una, passa direttamente a quella successiva. Al Centro meteo ci sono scienziati, ingegneri elettrici, meccanici e informatici. Un team instancabile che lavora sette giorni su sette e operativo 24 ore su 24. Del resto, sempre più spesso, al tempo piace cambiare. E il gruppo di lavoro è lì, pronto a monitorare le condizioni climatiche e che il supercalcolatore faccia il suo lavoro correttamente. Insomma una vera e propria fabbrica del futuro, ma anche un custode prezioso del nostro passato. Sempre in via Stalingrado “riposa” il più grande archivio al mondo di dati meteorologici. Tanto grande che per portarlo dall’Inghilterra ci sono voluti una decina di tir. Scaffali e scaffali che custodiscono 500 petabyte e che consentono di ricostruire quanto gli eventi atmosferici siano cambiati negli anni e nei decenni, tornando indietro fino a inizio secolo scorso. Insomma qui convivono passato, futuro e presente tutti insieme e inestricabilmente intrecciati tra loro. E a incontrarsi sono anche i dati del Centro meteo e le straordinarie capacità di Leonardo. La missione si chiama “Destination Earth”, o “DestinE”, e ha l’ambizioso obiettivo di creare un gemello digitale della Terra. Un’iniziativa dell’Unione Europea che aiuterà l’umanità a monitorare e prevedere anche gli eventi estremi, come siccità, alluvioni, uragani. E presto, forse anche entro fine anno, arriveranno importanti novità anche per il gemello digitale di Bologna. Un investimento, solo quello della città delle Due Torri, da 7 milioni di euro. In particolare i primi casi d’uso, secondo il Comune, si focalizzeranno sul patrimonio di dati già esistente integrandone anche di nuovi, in vista dei cambiamenti sul fronte della mobilità urbana che affronterà la città. Poi analizzerà la risposta energetica del patrimonio edilizio cittadino, simulando l’impatto di nuovi progetti nei piani urbanistici. E, infine, si concentrerà sui temi legati al cambiamento climatico e del dissesto idrogeologico. Insomma, un gemello digitale «è una piattaforma - spiega Ubertini - software dove tu vedi la città in maniera tridimensionale. Questa ricostruzione può avere più livelli di dettaglio: dagli ingombri degli edifici, ai loro impianti interni, alla viabilità o circolazione dell’aria. Insomma, un gemello digitale può essere costruito su più layer. Come uno scheletro a cui poi si aggiungeranno più strati che interagiranno gli uni con gli altri», permettendoci di avere una Bologna in tempo reale ma totalmente digitale.

 

Gratuito e “rinascimentale” ecco la ChatGpt italiana

Dalla collaborazione tra Cineca, in particolare il supercomputer Leonardo, e la società iGenius sta nascendo “Modello Italia”. Si tratta di un’applicazione dell’intelligenza artificiale generativa che si pone come competitor di giganti come ChatGpt. L’idea nasce da una constatazione: tutti i modelli esistenti sono addestrati in lingua inglese. L’accordo siglato da iGenius e Cineca porterà allo sviluppo di un modello linguistico capace di comprendere e generare un linguaggio di ambito generale, ovviamente in italiano. Quando il modello sarà pronto verrà rilasciato con licenza aperta, quindi accessibile a tutte e tutti e sarà caratterizzato da un’attenzione particolare al mondo delle imprese e della pubblica amministrazione, prime destinatarie di questa innovazione. Uljan Sharka, fondatore e ad di iGenius racconta sito della sua azienda: «I modelli di linguaggio in ambito di intelligenza artificiale hanno il potenziale di democratizzare la conoscenza. Ciò sarà possibile solo se ogni paese e ogni lingua sarà rappresentato allo stato puro. Nessuno meglio degli italiani può trasformare la propria lingua in superpoteri, questo è “Modello Italia”, un sistema di intelligenza artificiale che rappresenta non solo la nostra lingua ma una delle civiltà più sofisticate attraverso l’arte, la cultura e le eccellenze per cui siamo famosi nel mondo. Un vero modello di rinascimento digitale che mette l’uomo al centro». E come dice Francesco Ubertini sarà «aperta, affidabile e pienamente conforme ai principi nazionali ed europei».

 

Il casco aerodinamico con l’intelligenza artificiale

Un altro esempio di progetto che può essere elaborato grazie ai supercomputer è quello della Nolangroup, azienda di Brembate di Sopra (Bergamo), specializzata in prodotti per l’industria motociclistica. Insomma, un’eccellenza italiana che conta 350 impiegati e sta lavorando per creare caschi sempre più aerodinamici. Come lo fa? Con l’intelligenza artificiale. Tradizionalmente la progettazione dei caschi dell’azienda si basa su esperimenti fisici possibili grazie a dei prototipi. Solo di recente è stato introdotto l’approccio basato sulla simulazione con l’utilizzo di supercomputer per simulare l’aerodinamica esterna, gli effetti termici, l’acustica e gli impatti. Il tutto nel più breve tempo possibile. Per questo un’altra azienda, specializzata in sviluppo di soluzioni matematiche, la Moxoff, ha creato per la Nolangroup una piattaforma specifica che si chiama CASCo. In sostanza, questa creazione consente di ottimizzare i processi di progettazione dei caschi e la qualità finale del prodotto. L’obiettivo dell’esperimento condotto tramite supercomputer è quello di consentire simulazioni avanzate con tempi sempre più ridotti. Inoltre, il progetto di collaborazione tra le due aziende, la Moxoff e la Nolangroup, anche mira alla creazione di una piattaforma utilizzabile anche per chi non mastica la fisica e la matematica che ci sono dietro. Oltre a caschi più aerodinamici, il progetto, secondo Moxoff, porterà la piattaforma ad aumentare il suo fatturato del 10%. E Nolan stima un risparmio sui costi di sviluppo pari a 52mila euro.

 

Foto Ansa

 

Questo articolo è già stato pubblicato nel Quindici numero 18 del 14 marzo 2024