federalismo

Passarelli

«Auspicare la nascita di un’Europa federale non vuol dire guardare solo all’ideale, ma anche essere pragmatici e quindi tenere conto delle preoccupazioni e delle paure della gente». Queste le parole con cui Gianluca Passarelli, professore ordinario di Scienza politica all’Università La Sapienza di Roma, facendo riferimento al suo ultimo libro Stati Uniti d’Europa. Un’epopea a dodici stelle (Egea), mette in risalto quanto siano sempre più cruciali la presenza di un’Europa unita politicamente e, in particolare, la realizzazione del sogno di Altiero Spinelli.

 

Professore, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha deciso di ricandidarsi e la nostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha annunciato di sostenerla. Secondo lei potrebbe essere riconfermata oppure no?

«Non credo che verrà rieletta. L’esito della partita dipenderà da quello che sarà l’accordo tra i principali schieramenti politici del Parlamento Europeo, cioè i popolari e i socialisti. Se diamo un’occhiata a come sono messi i principali partiti europeisti di destra e sinistra, stando ai sondaggi, è improbabile che uno dei due schieramenti riesca a ottenere la maggioranza assoluta dei seggi, dunque dovranno per forza raggiungere un compromesso. E la presidente von der Leyen potrebbe non essere la scelta dei socialisti».

 

Teniamo conto del fatto che la volta scorsa la von der Leyen è stata eletta con un margine piuttosto stretto di voti e in quell’occasione è stato fondamentale l’appoggio dei Cinque Stelle.

«Ecco, anche questo è importante. Non è affatto detto che la rivotino, lasciando stare il fatto che stanno vivendo una fase politica di grande difficoltà».

 

Passiamo adesso al suo libro. Lei analizza molto l’euroscetticismo. Visto anche il recente risultato del voto in Portogallo, che ha visto una preoccupante ascesa dell’estrema destra Chega! (Basta!), lei prevede una crescita di questo fenomeno nelle prossime Europee?

«Il Portogallo ha una storia politica particolare. Fino a poco fa poteva essere considerato una roccaforte dei socialisti e, prima del voto di domenica, da quando è finita l’era totalitaria di Salazar, non c’è mai stato un partito di estrema destra. Adesso è arrivato Chega!, una forza politica di estrema destra antieuropea che ha preso più del 20%. Io però credo che al di là di questi risultati, in Portogallo si tornerà al voto. Così come sono messi, i due partiti principali, quello socialista e Alleanza democratica, non possono né governare individualmente né allearsi per formare una maggioranza di governo. Inoltre, Alleanza democratica, il partito di centrodestra, ha annunciato che non ha intenzione di allearsi con Chega!, quindi un ritorno alle urne è molto probabile. Vedremo come andrà e, in ogni caso, a livello europeo, per l’elezione del nuovo Parlamento sarà determinante il voto in Italia, Francia, Germania e Spagna. Sono questi i Paesi che hanno il maggior numero di seggi nel Parlamento Europeo. Aggiungo anche che dopo queste elezioni, l'Italia potrebbe giocare un ruolo chiave, soprattutto se consideriamo la probabile crescita del Pd come una delle principali forze di centrosinistra europee». 

 

Durante la presentazione del suo libro tenutasi ieri sera nella Sala Stabat Mater dell’Archiginnasio, il presidente Prodi ha parlato del bisogno di una politica fiscale comune in Europa. Di questo ne è convinto anche Mario Draghi. Lei che ne pensa?

«Sono assolutamente d’accordo con il presidente Prodi e credo che l’obiettivo di una politica europea fiscale si sposi bene con il progetto di un’Europa federale. Come ha detto Prodi ieri sera, anche se sembra impossibile, se all’inizio ci fosse un accordo solamente tra quattro o cinque Stati membri tra cui la Francia, l’Italia e la Germania e la Spagna, gli altri si aggregherebbero. Se ci fosse finalmente questa politica fiscale comune, ci sarebbero molti vantaggi concreti per gli Stati membri, soprattutto in ambito socio-economico. Per esempio, ci sarebbe una maggiore giustizia sociale legata a una vera progressività fiscale con la quale far pagare meno tasse agli Stati che contribuiscono di più e più tasse a quelli che contribuiscono meno, tenendo anche conto della loro situazione economica. Ci sarebbero quindi con una politica fiscale europea una maggiore equità e anche un maggiore controllo nella lotta all’evasione fiscale. Un altro vantaggio beneficio sarebbe un maggiore potere negoziale dell’Unione Europea nei confronti delle grandi compagnie come per esempio Amazon o Google». 

 

Altiero Spinelli, il Mosè d’Europa, nel 1941 sognava gli Stati Uniti d’Europa. Oggi, nel 2024, è ancora possibile parlare di un federalismo europeo?

 

«Direi proprio di sì, soprattutto in una fase di crisi come quella che stiamo vivendo. Abbiamo due conflitti che stanno sconvolgendo il mondo, quello in Medio Oriente e quello in Ucraina, che è una guerra in Europa e per l’Europa. Auspicare la nascita di un’Europa federale non vuol dire guardare solo all’ideale, ma anche essere pragmatici e quindi tenere conto delle preoccupazioni e delle paure della gente. Se si parla di sicurezza degli Stati membri, la fondazione di un esercito europeo per la difesa comune sarebbe un esempio concreto di pragmatismo politico, oltre a essere un esempio chiaro di una reale presenza politica dell’Europa sul piano internazionale. Chi è veramente federalista sa che parlare di esercito europeo e difesa comune non significa affatto essere guerrafondai, bensì essere realisti. Aggiungo che solo un’Europa unita può porre fine al ritorno del suo vero nemico, cioè il nazionalismo».

 

Ieri sera lei ha citato François Mitterand, presidente della Francia dal 1981 al 1995, socialista e repubblicano, il quale associava il nazionalismo alla guerra.

 

«Esatto. L’Europa nasce non solo contro la guerra, ma anche per la pace. Purtroppo storicamente l’Europa è il continente della guerra. Dobbiamo ricordare le guerre di religione, la guerra franco-prussiana, i due conflitti mondiali e anche le guerre jugoslave. Non è un caso che il Parlamento Europeo abbia sede a Strasburgo, una città situata tra l’Alsazia e la Lorena, i due territori che hanno causato la guerra franco-prussiana e che, con la sconfitta della Francia, hanno portato a una crisi politica interna tragica che è totalmente emersa con l’affare Dreyfus. L’Europa deve essere vista come una risposta strategico-politica».

 

Nell'immagine, il professor Gianluca Passarelli. Foto di Eugenio Alzetta