ciclismo

Nato del mese di maggio, quando generalmente si corre il Giro d’Italia, Lorenzo Fortunato ha il ciclismo nel destino e nel sangue. Si considera “fortunato” anche di fatto, perché fa quello che ama ed è anche il suo mestiere, cominciato più di vent’anni fa, quando inizia a muovere i primi pedali, avendo come unici punti di riferimento due Marco. Il primo, papà Fortunato, ha corso a livelli amatoriali senza grandi risultati, mentre il secondo ben più conosciuto, Pantani, è il mito con cui cresce. «All’inizio era soltanto una passione infantile. Dopo, sfrecciando per le campagne di Castel dé Britti, frazione di San Lazzaro di Savena, si è infiammato trasformandosi in amore autentico». Le salite del Passo della Raticosa e Monte delle Formiche sono state il suo campo di allenamento, dove il giovane Lorenzo, oggi 27enne, ha temperato la propria indole ciclistica. Scalatore non si diventa, lo si nasce: «Questo perché, oltre a una necessaria struttura fisica, che non rende il ruolo accessibile a chiunque, c’è anche un aspetto caratteriale e di predisposizione alla sofferenza». Lorenzo come nella vita da mediano cantata da Luciano Ligabue, lotta, fatica e prende botte, fino ad arrivare al suo primo successo sul monte Zoncolan, salita durissima e mitica: «Quel giorno mi è andata ogni cosa per il verso giusto, ma ho realizzato tutto dopo». Fortunato nel 2021 è al suo primo Giro d’Italia in assoluto, che poi concluderà al sedicesimo posto della classifica generale e si è prefissato l’obiettivo di portare a casa almeno una tappa. Il suo momento arriva nel corso della terza settimana, quando il Giro è ormai agli sgoccioli e per deciderlo si arriva sulle Alpi. «Fin dal mattino la tattica era molto semplice, bisognava attaccare subito per andare in fuga, così da anticipare le mosse del mio diretto avversario, Bernal. In quei frangenti mi sono completamente isolato, non pensavo più a niente, ho spinto più che potevo sui pedali e volevo arrivare per primo. Nei momenti di grande sofferenza, che pure ci sono stati, ricordo che si faceva sotto l’ammiraglia, dove i manager della squadra Ivan Basso e Stefano Zanotta urlavano “Dai Fortù! Tieni duro e spingi più che puoi!”. Poi finalmente ho visto il traguardo e ho realizzato tutto quanto. Ho dedicato virtualmente quella prima grande Quindici 29 Fortunato si allena con la squadra sull’Etna. Foto: concessa dall’intervistato vittoria ai miei genitori e alla mia ragazza, che mi hanno sempre sostenuto». Urlo liberatorio all’arrivo, pugni alzati in cielo e grande festa a casa sua, dove tra i vicini di casa ne spicca uno in particolare, Alberto Tomba. Nel team Eolo, Fortunato passa tre anni, diventando capitano e punto di riferimento della squadra, ma l’impresa sullo Zoncolan rimane bellissima, ma isolata. Poi nell’agosto del 2023, arriva l’importante proposta dall’Astana, una squadra kazaka alla quale Lorenzo non può dire di no e che rappresenta una sfida per provare a crescere ancora: «Per me ha rappresentato un grande salto di qualità a livello di strutture e di organizzazione. All’interno del gruppo hanno già corso campioni del calibro di Vincenzo Nibali e Alberto Contador. Inoltre, nella squadra ci sono già tanti direttori sportivi, meccanici e anche compagni di squadra italiani, che ne hanno facilitato l’inserimento». In questo momento Lorenzo si trova alle pendici dell’Etna, insieme al resto del gruppo per preparare la stagione. Qui dorme in alto, si allena una volta al giorno per tre o sei ore, macinando dai centoventi ai duecento chilometri al dì, il posto giusto dove scaldare i muscoli in vista della stagione che verrà. Lorenzo è un figlio predestinato del Giro, ma messo davanti alle domande più difficili si divide, tra i suoi sogni e gli obiettivi stagionali. «Il mio intento per quest’anno è quello di fare un grande Giro d’Italia, per il resto valuteremo insieme con la squadra». Ma quel piccolo dettaglio che Lorenzo lascia trapelare senza mai pronunciarlo si chiama Tour de France, che nell’ambiente viene considerata la “Corsa Regina” e quest’anno passerà proprio dalla sua Bologna. Fortunato fino a questo momento non ha mai corso un Tour, un motivo in più per cercare di esserci a tutti i costi: «Ho già parlato con la squadra dando la mia disponibilità. In questo momento so che l’obiettivo resta il Giro, però il Tour che passa da casa mia non mi lascia insensibile. Devo pensare a fare bene per farmi trovare pronto, poi saranno i dirigenti a fare le scelte. In Astana siamo trenta ciclisti e per ogni grande giro la squadra è composta da otto persone, quindi la concorrenza non manca». Il ciclismo, in questo momento, sembra essere diventato un duopolio tra Pogacar e Vingegaard per le corse a tappe: «Tra i due scelgo certamente Vingegaard, su questo non ci sono dubbi. Sono i risultati a parlare per lui, visto che è stato il vincitore degli ultimi due Tour de France». Il campione in qualsiasi sport è da sempre utile come stimolo per fare aumentare le iscrizioni e per far avvicinare i più giovani, si veda l’effetto Sinner per il tennis. In questo momento, al ciclismo italiano manca il cosiddetto fuoriclasse e le iscrizioni ne risentono. «È vero che si sta attraversando un periodo calante, servirebbe un corridore vincente per riaccendere l’entusiasmo e la voglia di prendere la bici». Su quale sia l’atleta che ha avvicinato Fortunato al mondo del ciclismo non ci sono dubbi. Non tutti potrebbero essere avvezzi alle cose del mondo delle due ruote, ma ognuno di noi ha davanti agli occhi la sagoma di Marco Pantani, che nel 1998 compì la doppietta Giro-Tour nella stessa stagione, mai sin qui ripetuta. «Quando ho cominciato ad andare in bici il Pirata era un idolo assoluto, anche lui scalatore come me, è stato un autentico punto di riferimento del mio modo d’andare in sella». Un ciclismo molto diverso quello con cui si misurava il campione romagnolo, morto il 14 febbraio di vent’anni fa: «Restare sempre sulla cresta dell’onda all’interno del ciclismo moderno non è affatto semplice. Perché è uno sport dove si va sempre più forte e non risparmia nessuno. Come si fa per restare a galla? Beh, come prima cosa bisogna capire i punti in cui migliorare per poter restare al passo. Dopodiché, le aspettative sono sempre alte da parte di tutti. Quindi imparare a gestire ansia e stress è diventato fondamentale. Per quello che mi riguarda cerco di dare il massimo e sono tranquillo». Se questo non dovesse bastare, Fortunato ha anche le sue valvole di sfogo quando non è in sella, che gli permettono di restare concentrato nel suo lavoro: «Mi piace molto stare all’aria aperta, fare delle camminate e seguire un po’ tutti gli sport. Mi godo la vita di tutti i giorni, fatta dalle piccole cose come cenare a casa e restare accanto ai miei familiari».

 

Quest'articolo è già stato pubblicato in data 29 febbraio 2024 sul numero 17 del quindicinale di InCronaca.  
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