Teatro
Il giornalista e telecronista sportivo Federico Buffa prosegue il suo tour con “La Milonga del Fùtbol”, il racconto che narra del Novecento calcistico argentino. Questa settimana farà tappa giovedì 29 al Teatro Comunale di Ferrara, che, come al solito, sarà tutto esaurito per ascoltarlo.
Narratore si nasce o lo si diventa?
«Secondo me certe caratteristiche bisogna averle dentro. Devo dire che non mi considero un narratore in quanto tale, anche se mia sorella mi dice che, quando ero piccolo, durante i viaggi in macchina con la famiglia, raccontavo tutto quello che vedevo».
Da ragazzo che cosa le piaceva fare?
«Mi ricordo che, quando eravamo ragazzini, insieme a mio cugino ci divertivamo a fare la radiocronaca delle partite. All’epoca “Tutto il calcio minuto per minuto” iniziava solo nel secondo tempo, così durante la prima frazione di gioco restavamo in silenzio e poi partivamo con i commenti».
Prima di passare alla milonga argentina, parliamo di quella italo-brasiliana di Thiago Motta. Le piace questo Bologna? Che cosa l’ha sorpreso di più?
«Motta era uno che mi piaceva già quando giocava a calcio. Mi ricordo che a vederlo in mezzo al campo si atteggiava come un allenatore, credo fosse predestinato per il ruolo. Una delle caratteristiche che più apprezzo di lui è il suo equilibrio. Penso che nel mondo di oggi e soprattutto nel calcio attuale questa sia una grande virtù».
Lei è un simpatizzante milanista. Come vedrebbe l’anno prossimo Zirkzee con la maglia rossonera? A quale giocatore lo paragonerebbe? E perché?
«Mi sembra un giocatore dalle caratteristiche brasiliane degli anni '70, sia per la sua stazza fisica ma anche per il culto con cui tocca la palla. Per queste ragioni lo paragonerei a un Socrates. Ha tutte le carte in regola per andare a giocare di fronte a una platea come quella di San Siro. Poi, bisognerà vedere come reagirà in un contesto dove c’è molta più pressione, di sicuro non sarà semplice. Infine, direi che non c’è soltanto il Milan, il ragazzo si è fatto notare e, secondo me, anche la Premier lo ha già messo nel mirino».
In una recente intervista al Corriere ha dichiarato che “la passione per il basket è superiore a quella per il calcio”. Quindi, da baskettaro come vede la stagione in Eurolega della Virtus? Vuole sbilanciarsi in un pronostico?
«Non riesco a sbilanciarmi perché seguo poco l’Eurolega, anche se ho notato quando sono stato in città del ritorno di un certo entusiasmo. È tornata una passione che si viveva negli anni Settanta, quando Bologna era la “Repubblica del basket italiano”».
Arriviamo al suo spettacolo “La Milonga del Fútbol”. L’aspetto curioso è proprio il termine milonga, che importanza riveste? E dal suo punto di vista, questo intreccio di parole e musica all’interno dello spettacolo che visione dell’Argentina ci restituisce?
«La Milonga è proprio un genere musicale sudamericano, che in questo caso funge da luogo. Siamo nel Novecento argentino, che ho voluto raccontare attraverso tre grandissimi calciatori di epoche diverse, ma collegati tra di loro: Cesarini, Sivori e Maradona. Il primo, Cesarini, è un figlio di migranti italiani, poi c’è Sivori il calciatore che rappresenta l’era Peronista e infine Maradona che dalle baraccopoli porterà l’Argentina alla vittoria del suo primo mondiale».
Come spiega la superiorità degli argentini sul campo da calcio? È merito di una sorta di “realismo magico”, che fa dimenticare i pesanti problemi politici in casa?
«Mi sembra una bellissima analisi questa del realismo magico. Gli inglesi, infatti, hanno inventato il gioco del calcio, mentre gli argentini hanno generato l’amore per questo sport. Non è un caso dal mio punto di vista che ogni trent’anni il miglior calciatore al mondo ce l’hanno loro».
Il racconto sportivo è spesso frutto della fantasia, eppure, i suoi numeri a teatro sono reali. In che modo riesce a riempire le sale e ad attrarre i più giovani?
«Io nel mio lavoro cerco di attenermi innanzitutto ai fatti, poi, c’è un’elaborazione con cui fornisco una mia interpretazione della storia. Sono un uomo di 64 anni, che viene dal secolo scorso e a questo appartiene. Dico solamente che la presenza dei più giovani mi sorprende, però evidentemente certe storie sono universali».
Federico Buffa. Foto concessa dall'ufficio stampa