omicidio linsalata

«Un giornalista non emette sentenze. E un magistrato non può decidere cosa l’opinione pubblica possa o non possa sapere». A ribadirlo è Matteo Naccari, presidente dell’Aser dell’Emilia-Romagna, il sindacato dei giornalisti.  Da molti anni non c’è sul tema un confronto diretto tra stampa e magistrati. Così nasce l’esigenza di avviare un corso di formazione per discutere della legge Cartabia, che secondo Naccari «imbavaglia la libertà di stampa. Perché non si può affidare a un giudice la libertà di decidere cosa sia notiziabile».

L’idea è di accendere un confronto pubblico sul confine labile che esiste tra il segreto istruttorio e le esigenze di indagine e al contrario il diritto (che per la stampa è un dovere assicurare) di ogni cittadino di essere informato, soprattutto su fatti che attingono alla sicurezza personale. 

Il 21 ottobre 2021 Isabella Linsalata, ginecologa di 62 anni, viene trovata morta nel suo letto dal marito Giampaolo Amato, ex medico della Virtus. Le indagini partono subito ma solo l’8 aprile scorso Amato viene arrestato con l’accusa di aver ucciso la moglie. La notizia del presunto femminicidio ci arriva dopo più di un anno, quella dell’arresto di Amato soltanto dopo alcuni giorni. «Caro procuratore, un delitto è una notizia che va data», intendendo che va divulgata subito o quanto meno il prima possibile, denuncia Giampiero Moscato, direttore di InCronaca, su “Cantiere Bologna”, altra testata che dirige. Silvestro Ramunno, presidente dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna, e lo stesso Naccari perorano la causa e scrivono una lettera al procuratore della Repubblica, Giuseppe Amato. «Ci muove un solo obiettivo: poter informare, in maniera completa e trasparente, l’opinione pubblica. Il diritto di cronaca non è dei giornalisti, è il diritto dei cittadini a essere correttamente informati», ribadiscono. E Amato risponde: «La cronaca viene dopo, a tacer d’altro, perché l’intempestività della notizia può pregiudicare lo stesso esito del riscontro giudiziario». 

Sta qui il nodo: secondo la legge Cartabia è il procuratore a decidere cosa sia di rilevanza pubblica, nel rispetto della presunzione d’innocenza e delle indagini. «Questo è un problema - sottolinea Ramunno - E riguarda l’interpretazione della legge. La sua applicazione non deve pregiudicare il diritto del cittadino di essere informato. Se si interpreta la norma in maniera estensiva, si può superare questo limite». Se lo si fa in maniera restrittiva, invece, è il diritto di cronaca a venire meno. Il diritto dell’opinione pubblica di essere informata in modo chiaro ed esaustivo. 

Al corso di formazione (per ora indicato nella prima decade di giugno, valido anche per la formazione continua degli iscritti all’Ordine) si discuterà della legge Cartabia, dell’informazione dal punto di vista dei cittadini, del diritto-dovere di cronaca, con avvocati, giornalisti, magistrati e lo stesso procuratore Giuseppe Amato, che ha già accettato l’invito nella lettera di risposta a Ramunno e Naccari. Il dibattito è montato sulle pagine dei quotidiani. «La vicenda del medico di Bologna accusato dell’omicidio della moglie impone due riflessioni - scrive Valerio Baroncini, vicedirettore del Resto del Carlino -  una riguarda il diritto di cronaca, l’altra investe le circostanze, la società, il contesto in cui questa storia è sgorgata. Prima domanda: perché la notizia delle indagini e di una morte sospetta è stata tenuta ferma per un anno e mezzo e quella del carcere è giunta solo diversi giorni dopo?». Anche Baroncini sarà coinvolto nel corso di formazione, insieme a Moscato, Ramunno, Naccari e altri protagonisti del confronto tra foro e informazione. 

 

Foto: il Fatto Quotidiano – Roberto Serra/Iguana Press (CC BY-NC-SA 2.0)