discipline paralimpiche
Alzi la mano chi ha mai sentito parlare di blind tennis. Si tratta di uno sport con una diffusione ancora limitata ma che ha «un grande sviluppo a livello internazionale e nazionale» come spiega l’istruttore Gregorio Forni, 53 anni, allenatore del Virtus Tennis Bologna, che ha ospitato insieme al palazzetto del quartiere Barca il campionato italiano di blind tennis e vanta tra i propri atleti Daniela Pierri, campionessa italiana (nella categoria B1, non vedenti) e del mondo.
«L’obiettivo è di renderlo uno sport praticato alle Olimpiadi. Doveva essere sport dimostrativo a Tokyo poi il Covid ha scompaginato i piani», dice.
Come Virtus Tennis siete l’unico centro sportivo di Bologna a fornire corsi di blind tennis. Quante persone hanno iniziato a praticare la disciplina?
«Attualmente i non vedenti sono cinque, gli ipovedenti due. Forse anche qualcuno in più ha iniziato a praticare poi qualcuno ha abbandonato perché si tratta di sportivi provenienti anche da altre discipline».
Quali sono gli accorgimenti che rendono possibile giocare a blind tennis?
«C’è una palla con un diametro di nove centimetri e un involucro spugnoso che ha un rimbalzo controllato e produce un suono al rimbalzo. La pallina può fare tre rimbalzi o due, nel caso degli ipovedenti, che hanno anche un campo leggermente più grande. Già questo permette di potersi mettere alla ricerca della palla. Inoltre, la linea di fondo è tattile in modo che il campo possa essere sentito con i piedi. La particolarità in sé del blind tennis è che dà molta autonomia. È uno dei pochi sport per non vedenti, in cui sei autonomo rispetto all’aiuto di un vedente. Chiaramente c’è bisogno di un arbitro, che dica quando la palla è fuori, e di qualcuno che fornisca la palla ma nell’azione di gioco sei autonomo».
Allena l’atleta Daniela Pierri, campionessa italiana e mondiale. Quali caratteristiche la contraddistinguono e la rendono una vincente?
«La sua peculiarità è il carattere: una grande determinazione e abnegazione. Ha la capacità di rimanere molto concentrata in campo e, grazie a questo, sa studiare anche l’avversario. Naturalmente non si può fare tramite il senso della vista, ma attraverso altri tipi di informazioni».
Avete ospitato il campionato nazionale di blind tennis a settembre e non è la prima volta. Come Virtus Tennis, vi candidate a essere un punto riferimento a livello nazionale per lo sport?
«Di fatto lo siamo. Ci candidiamo a essere un polo di diffusione del blind tennis perché vorremmo che si praticasse di più. Da due o tre anni il blind tennis è stato incorporato tra le attività della Federazione italiana sport paralimpici per ipovedenti e ciechi (Fispic). Prima i campionati erano qualcosa di più informale, non erano coperti da attività federale. Di fatto questo è stato il primo campionato italiano con la Federazione».
Svolgete qualche attività di promozione?
«Come Virtus Tennis facciamo promozione in accordo con la Fispic, che ci contatta per fare giornate promozionali in qualche scuola o in palestre in giro per l’Italia, dove possano esserci atleti non vedenti, che praticano già altre attività sportive e vogliono sperimentare il blind tennis. Ci è capitato di parlare in aule universitarie come in quelle di Scienze Motorie a Firenze».
Quali sono gli obiettivi che vi ponete in ambito blind tennis?
«Ci piacerebbe continuare a organizzare le fasi finali del campionato italiano dei prossimi anni, anche perché coincide con un centenario dell’attività della Virtus e tra le iniziative ad esso correlate potrebbe esserci anche il blind tennis».
E come allenatore?
«Difficile definire degli obiettivi dopo un campionato del mondo (ndr, ride). Far capire che il blind tennis è un’ottima disciplina e potrebbe essere usata come preparazione fisica accanto ad altri sporti. È uno sport accessibile: non necessita di tante strutture come si potrebbe immaginare, è molto semplice allestire un campo, non richiede grandi spazi, si può giocare anche in un cortile. Potrebbe avere una diffusione a 360 gradi».
Come cambia l’insegnamento dello sport tra tennis e blind tennis?
«Tecnicamente nel blind tennis c’è molta più libertà e varietà nel tipo di colpi, non avendo necessità di imprimere velocità alla palla se non nel servizio. Però è tennis a tutti gli effetti: c’è la ricerca di palla, che avviene tramite l’analizzatore acustico e non attraverso la vista, a meno che non si tratti di tennis per ipovedenti, che è un altro sport rispetto al blind tennis anche se rientra nella categoria, almeno nominalmente. Dal punto si vista dell’approccio si tratta di persone che hanno delle esperienze motorie limitate. Non è detto che tutti vengano da altri sport e quindi occorre un’attenta valutazione dei loro prerequisiti motori. Ci possono essere persone non abituate a muoversi lateralmente o all’indietro. Quindi, bisogna creare un ambiente sicuro per poi incrementare l’abilità motoria, l’esplorazione del campo alla ricerca della palla».
L'allenatore Gregorio Forni con la campionessa Daniela Pierri. Foto concessa da Virtus Tennis Bologna