pallavolo
Umberto Suprani (74 anni) è stato un arbitro di pallavolo internazionale dal 1980 al 1997. Nel 2022 ha vinto la Hall of Fame nella categoria arbitri; è un giornalista professionista, ed è stato presidente del Coni Emilia-Romagna dal 2013 al 2021.
Si parla di lavorare per rendere Bologna una “capitale sportiva”. Secondo lei è realistico?
«Faccio una premessa: non bisogna ammattirsi per ottenere questo titolo a livello europeo, perché non un’etichetta ufficiale. A livello italiano, invece, credo che Bologna abbia tutte le prerogative».
Avere un nuovo stadio sarebbe importante?
«No, non è essenziale. La vera lacuna è l’impianto di atletica, che non si può togliere dallo stadio e che attualmente non è praticabile a livello internazionale perché non è a nove corsie, come richiesto, ma a sei. L’ho sempre detto a Merola, a Lepore e all’assessora Li Calzi».
Passiamo alla pallavolo. Il 2022 è stato un anno ottimo per le nostre Nazionali, ma quello appena trascorso non è andato secondo le aspettative.
«L’anno scorso è stato un "Grande slam" irripetibile: oltre alle nazionali, le squadre giovani hanno vinto davvero di tutto a livello europeo e mondiale. Per non sbagliare mai una mossa e vincere tutto quello che abbiamo vinto devi cogliere il momento, e abbiamo fatto un mezzo miracolo a vincere i due titoli mondiali».
Che speranze abbiamo per le Olimpiadi del 2024?
«Dobbiamo metterci in testa che la concorrenza è agguerrita, ma è importante andare. Viste le nuove regole dell’Fivb [la Fédération Internationale de Volleyball, ndr], però, se giocatori e giocatrici “stanno lì” con la testa non dovrebbero esserci problemi e non dovremmo bruciare tutto il vantaggio che abbiamo nel ranking mondiale».
L’entrata di Velasco [come allenatore della nazionale femminile, ndr] potrebbe essere positiva in tal senso?
«Era un’entrata necessaria dopo la frattura insanabile tra Mazzanti e parecchie giocatrici. Non c’era altro nome oltre al suo, perché Guidetti e Santarelli avevano contratti vincolanti e non potevano subentrare».
C’è speranza, quindi.
«Dipende dalla reazione delle dodici giocatrici che saranno convocate, e soprattutto dal lavoro che Velasco riuscirà a fare con loro. Potrebbe anche andar bene, ma comunque per vincere le Olimpiadi bisogna essere al massimo della forma in quel determinato giorno, in quella determinata settimana».
Qual è stato il cambiamento più grande nella pallavolo degli ultimi anni?
«La rivoluzione copernicana è stata fatta nel 1998, quando si è detto che ogni azione valeva un punto. Trovo che sia stato un bene per lo spettacolo e per l’attrattività dello sport».
Ci sono stati anche cambiamenti negativi?
«Beh, la pallavolo attuale è molto più fisica che tecnica. Si comincia già dalla battuta dei nove metri a cercare il punto debole dell’avversario in maniera esasperata, magari rischiando una battuta sbagliata in più. E poi, se non sei alto due metri difficilmente emergi nella pallavolo d’élite. Infine, stiamo andando verso un’estrema specializzazione dei ruoli, così chi ha il palleggiatore o il regista più talentoso porta dalla propria parte la partita».
Lei ha arbitrato nel periodo in cui giocava la “generazione di fenomeni”. C’è un momento che ricorda in particolare?
«Purtroppo (e per fortuna) ero arbitro alle Olimpiadi di Barcellona del 1992: dico purtroppo perché ho assistito in prima persona alla beffa dell’ultimo 17-16 al tie break, quando l’Olanda eliminò l’Italia ai quarti di finale. Dico per fortuna, invece, perché, con una nazionale come quella, a ogni mondiale, europeo o Olimpiade mi dicevano: “Sei l’Italia, arrivato ai quarti hai finito il tuo lavoro” [ride, ndr]».
La nazionale maschile di pallavolo. Foto di Ansa