conflitto

Omar Shihadeh

In Piazza XX settembre a Bologna si terrà un presidio lanciato dai Giovani Palestinesi d’Italia e sostenuto da varie realtà della sinistra extraparlamentare bolognese. Le mobilitazioni nei prossimi giorni riguarderanno molte altre città italiane e si inseriscono all’interno di uno scenario di contestazione al conflitto tutt’altro che tranquillo. 

In attesa che la comunità palestinese scenda in piazza, Incronaca ha intervistato Omar Shihadeh, bolognese di seconda generazione e proprietario del ristorante CiaoKebab. Il padre Jamil fu uno storico attivista palestinese, oltre che primo proprietario del famoso ristorante che servì il kebab persino a Berlinguer.

 

Omar, parto col chiederle quanto tempo è che non torna in Palestina e se ha sentito i suoi parenti che sono tutt’ora là.

«Non vado in Palestina da un anno, ci sono andato a novembre dell’anno scorso. Avevo prenotato una settimana fa con la mia famiglia i biglietti per andarci il 25 novembre di quest’anno, ma non credo ci andremo. Tutti i miei parenti sia dalla parte di mio padre che di mia madre vivono a Gerusalemme, nella parte israeliana, il quartiere si chiama Shu’fat che è oltretutto un quartiere attualmente sotto assiedo. Li ho sentiti, loro per ora stanno bene ma non escono di casa. Diciamo che per il momento sono abbastanza tranquillo, se arrivano i casini anche nel quartiere dove sono nati i miei genitori vuol dire che la cosa è veramente molto grossa».

 

Mi accennava che il clima di tensione era palpabile da mesi.

«Esatto, il clima a Gerusalemme era pesante e lo era per colpa delle scelte politiche di quello schifoso verme di Netanyahu. Chiunque abbia avuto un minimo modo di informarsi, non in questo momento ma nei sei mesi che hanno preceduto questo attacco, ha tranquillamente capito il perché sta succedendo quello sta succedendo. La situazione è imputabile al fatto che il governo di Netanyahu è di estrema destra nazista».

 

Cosa ne pensa di Hamas?

«Hamas è un’organizzazione di "quattro scappati di casa", sono dei burattini. Possono aver fatto entrare 5000 missili a Gaza, un territorio presidiato dal più grande sistema di difesa e intelligence del mondo e controllato dal Mossad, l’esercito più tecnologicamente avanzato del mondo? I palestinesi comunque non stanno con Hamas come non stavano coi suoi predecessori, però dirsi semplicemente contro la guerra è estremamente semplicistico. Cosa significa essere contro la guerra? Anche a me non piace la guerra ma bisogna considerare cosa ha portato a questa situazione».

 

Stasera a Bologna si terrà una manifestazione in supporto alla causa palestinese, ne riconosce la valenza?

«Io da parte mia ho partecipato un paio di volte a queste manifestazioni perché mi ci trascinava mio padre quando c’era. Le trovo abbastanza inutili fondamentalmente perché a volte chi partecipa non sa esprimersi in modo corretto sulla questione, cosa che purtroppo, ho notato, i filo-israeliani sanno fare maggiormente. L’altro grande elemento che ho sempre contestato anche a mio padre riguarda il portare la religione all’interno della piazza. Io sono totalmente ateo e per me le espressioni religiose non devono entrare in questo contesto. Detto questo, la solidarietà fa sempre piacere. Certo, non credo cambierà qualcosa davvero. Forse se manifestassero 150.000 persone ogni mese paralizzando sistematicamente la città si attirerebbe l’attenzione del governo, ma purtroppo una cosa una tantum del genere non sarà determinante».

 

In questo momento si sente più preoccupato o arrabbiato?

«La rabbia è tanta, soprattutto perché, a mio avviso, è brutto vedere come i media siano sempre lo scendiletto di Israele. E insieme ai media le Istituzioni. Sono stanco dell’immobilismo che la società italiana ed europea dimostra nei confronti della questione, ma vorrei anche dire a chi dice che Israele è l’unica democrazia del medio-oriente che si deve svegliare. Bisogna aprire gli occhi sulla situazione di Gaza degli ultimi venti anni e su governo di Netanyahu, che solo quattro mesi fa ha attaccato una manifestazione LGBT+ a Tel Aviv. Altro che democrazia».