Quindici
Valentina, anche se non vede più il traguardo, corre veloce come Mennea. Massimiliano, da bendato, prendere la mira perfettamente nel tiro con l’arco. Pasquale non distingue più i colori, ma può immaginare comunque quanto è lucente l’oro che stringe tra le mani dopo una partita di baseball. Il mondo sportivo dei ciechi o ipovedenti di Bologna è pieno di successi eclatanti, ma anche di tante storie normalissime, dove la vittoria è stata ripartire, riconquistare ad occhi chiusi la propria autonomia: vestirsi, allacciarsi le scarpe da soli. Portare al palato la forchetta, grazie a un senso dell’orientamento che lo sport sa dare. Ma non è stato sempre così. Per molto tempo, muoversi con una disabilità visiva è stato inaccessibile, per via del pregiudizio sociale, come per la legge in materia che prevedeva, fino agli anni ’70, addirittura l’esonero dalle ore di sport scolastico per i non vedenti. Poi il lento cambiamento, di cui la città delle Due Torri è stata base e laboratorio, e che è arrivato anche grazie all’impegno di professionisti che hanno dedicato la vita a questa missione.
Melissa Milani, presidente del Comitato Paralimpico regionale, è tra queste. Ha visto cambiare questo mondo e lottato per il suo rinnovamento. Giovane e ante litteram arbitra di calcio, a partire dal 1979 è stata attiva nella campagna per l’inclusione. Uno sforzo perseguito insieme all’Unione nazionale ciechi e all’Istituto Francesco Cavazza di via Castiglione, che l’ha portata a diventare Commissario tecnico della nazionale di Goalball: la disciplina quasi gemella del calcio riadattata per chi ha disabilità visive. «Prima di iniziare a praticarlo, ogni ragazzo che conoscevo era completamente diverso, non solo nelle competenze, ma nella voglia di fare. Sentire la sfida con se stessi invece era possibile, rendeva più abili loro e il mondo che li circondava, a partire dalle famiglie». Un cambio di passo recepito dalle società sportive, che dai primi anni 2000 hanno iniziato a fornire alternative accessibili a chi con disabilità volesse praticare sport. In regione ora gli atleti non vedenti, amatoriali o agonistici, sono centinaia e ognuno di questi, dal più giovane al più maturo, ha - soprattutto a Bologna - un’ampia gamma di scelte: dagli sport più comuni di categoria come il goalball e torball, al baseball, al tennis, all’equitazione, all’atletica, al judo, all’arrampicata. C’è una caratteristica però, secondo Melissa, che distingue la pratica dello sport per i non vedenti dagli altri che lo esercitano: «Mentre di solito, chi non ha disabilità inizia da piccolo o in adolescenza e progressivamente abbandona. Qui è il contrario: un non vedente che incontra lo sport, non lo lascia più. Lo fa per tutta la vita».
Pasquale di Flaviano, 70 anni, è uno di questi: «quest’anno festeggio i 50 anni da non vedente». La chiama così questa storia. L’ultima cosa che ha visto nitida, da bambino, è stato il pallone da calcio fuori dall’Istituto in cui stava per essere operato. Quando si è risvegliato, il buio, sempre di più. «Ogni volta che dicono che la nostra vita è la stessa di un vedente, mentono. Le difficoltà ci sono, ma ci si può rialzare. Ho fatto teatro, ho buttato fuori la mia patologia. Ma è stato lo sport a liberarmi, a darmi la forza». Per la strada da e verso casa si orienta con il profumo dei bar, il rumore del lavasecco. In campo invece, quello da baseball, ha studiato i suoi punti di riferimento: una delle basi verso cui deve correre è sonora e la squadra è affincata da un giocatore vedente. Qui non è uno “da volemose bene”: «Gioco per vincere», dice. Si allena tre pomeriggi a settimana nello stabilimento di Casteldebole, mentre ogni domenica è in giro per i campionati italiani. I primi europei, invece, si sono svolti nella sua Bologna a ottobre scorso: un successo per tutti i suoi compagni, ragazze e ragazzi, donne e uomini che vanno dai 13 ai 63 anni. «Con loro, non parliamo mai di cecità. Ma di vincere, ci facciamo il tifo a vicenda. Il baseball ti obbliga a conoscere cose di te e del tuo corpo, a capire. Aumenta la forza interiore. Non lo mollo». Massimiliano Piombo, 50 anni, fisioterapista al Sant’Orsola, la vista l’ha persa a 20 anni, mentre sciava sulle montagne con Alberto Tomba, ed era arrivato a vette altissime, anche di prestigio. Ma a causa della retinite, che è andata progressivamente peggiorando, si è ritirato. «All’inizio ho avuto un buco sociale enorme - racconta - Era una società poco informata. Credevo di dover buttare via la mia passione». Poi è successo qualcosa, che ha cambiato la prospettiva. «Vicino casa mia si tirava con l’arco e ho provato, da bendato. Incredibile, ma ho fatto centro». Grazie a un mirino tattile, ha preso la mira. Ed è diventato sempre più bravo, fino a vincere nel 2009 i campionati mondiali paralimpici della disciplina. Ora, mai sazio di sperimentare, si prepara per quelli di Los Angeles, ma nella categoria di equitazione. «È importante far sapere a chi ha una disabilità che essere atleti è possibile. Avrei voluto che qualcuno me lo svelasse quando è cominciata la mia malattia. Sarei stato più coraggioso».
Coraggiosa è stata anche Valentina Petrillo, programmatrice e atleta trans, che si sta preparando per i giochi di Parigi. Quando è arrivata qui a Bologna, nel 1994, all’alba della sindrome di Stargardt, era spaventata, «avrei visto sempre meno e sfocato, ero così giovane». Ma è stata proprio l’atletica, scoperta qui, a darle una nuova direzione. «Prima di ogni gara di corsa vado a toccare il traguardo. Il punto che vedo in fondo è quello a cui devo arrivare, e questa abitudine di cercare i miei punti fissi l’ho portata in tutta la mia vita». Dal 2019 ha completato il suo percorso di transizione, e ora può esaudire il desiderio di correre con la maglia rosa della nazionale, ma questo è un sogno ancora a ostacoli: «Posso correre come trans solo alle paraolimpiadi. Il mondo sportivo dei “normali” è molto meno inclusivo. Non posso augurare a un’altra atleta trans come me di diventare cieca per correre nella categoria femminile. E sarebbe quello dei ciechi il mondo pieno di barriere?».
Pasquale Di Flaviano mentre gioca a blind baseball. Foto concessa dall'intervistato
L'articolo è stato pubblicato nel numero 11 del "Quindici" il 16 novembre 2023