25 novembre

giuliana giusti

Giuliana Giusti è professoressa ordinaria all'università Ca’ Foscari, è specializzata nello studio del rapporto tra lingua e genere e, tra altre cose, tiene un corso online accessibile gratuitamente sulla piattaforma EduOpen su linguaggio, genere e lingua italiana. 

 

Nel corso dei suoi studi ha analizzato l’impatto dei cosiddetti “stereotipi sottili” sulla disparità di genere. Che cosa sono?

«La nozione di “stereotipi sottili” è stata coniata dalla linguista Monia Azzalini, con la quale ho lavorato. Sono gli stereotipi che riguardano le professioni di prestigio: chiamare una donna con una professione “al maschile” quando svolge un ruolo di prestigio – per esempio, “il” presidente Giorgia Meloni – è uno stereotipo sottile».

C’è chi è contrario alla femminilizzazione dei mestieri perché “non è italiano”.

«Ma usare il maschile come riferimento a una donna che ricopre un ruolo specifico si fa da circa un secolo. Se andiamo a vedere i toscani del Cinquecento, per riferirsi alle donne usavano il loro ruolo al femminile: ministra di saggezza, consigliera di virtù. È un uso contemporaneo che è prevalso quando le donne sono entrate in ruoli di prestigio: non è neanche una conservazione dell’italiano, ma piuttosto un’innovazione che, secondo me, è grave».

Gli stereotipi sottili sono perpetrati anche dai media?

«I giornali sono molto ondivaghi. Spesso, nello stesso articolo ci sono incoerenze: per riprendere l’esempio di prima, magari nel titolo si scrive “il” presidente Meloni e nell’articolo si usa poi “la” presidente. Anche questo crea un’incertezza nel ruolo e toglie autorevolezza».

In che senso “toglie autorevolezza”?

«Togliere autorevolezza alla declinazione femminile di un mestiere significa privare la donna del prestigio del ruolo che ricopre, ma non solo. Il ruolo al maschile usato per una donna diventa l’equivalente del mancato prestigio femminile: chi non ha prestigio non ha autorevolezza in quanto donna, e diventa parte di una categoria svantaggiata».

Quanto peso hanno questi stereotipi linguistici nella disparità di genere?

«Eliminarli significa contribuire a fondare una cultura in cui la donna abbia la stessa autorevolezza di un uomo. Una cultura in cui un uomo non possa farsi una rappresentazione della realtà che giustifichi il suo desiderio di dominare, di possedere, di determinare quello che la sua compagna vuole fare. Il punto è far capire alle persone che la battaglia per il linguaggio non è secondaria, e non toglie nulla alle altre battaglie. Anzi, le rafforza».

A ogni femminicidio si parla molto dalla necessità di ripensare l’educazione dei ragazzi giovani nelle scuole. Gli stereotipi sottili ci sono anche a scuola?

«In realtà, nei libri di scuola accade poco che i ruoli di prestigio siano declinati al maschile pur riferendosi a donne. Ma questo è perché, in quei testi, le donne neanche li hanno, i ruoli di prestigio [ride, ndr]. Irene Biemmi, una ricercatrice della Sapienza, ha fatto un’analisi diacronica dei libri scolastici, trovando che presentano molti di quei ruoli stereotipici che ormai non esistono più: la madre che si prende solo cura della casa, la donna raccontata come fata o come strega».

E l’uomo, nei testi scolastici?

«L’uomo, invece, svolge tutti i mestieri immaginabili, tranne quelli di casa. Sono narrazioni che sembra non siano correlate al femminicidio, ma lo sono: i ruoli di genere si costruiscono attraverso degli esempi, che si stratificano nella conoscenza e nella rappresentazione del reale che ci si fa».

 

 La professoressa Giuliana Giusti. Foto dall'università Ca' Foscari.