Quindici

«Sto per fare una pazzia assurda: ho deciso di lasciare il mio lavoro in banca per dedicarmi esclusivamente a insegnare pole dance». Simona Gargiuolo, che adesso ha 42 anni ma sogna la ginnastica artistica da quando ne aveva 13, si è resa conto che il suo lavoro da consulente bancaria - che ormai svolge da 15 anni – è «una morte dell’anima», tra approccio al cliente, lavoro d’ufficio e stress continuo. Un lavoro diventato mera abitudine, ma che comunque è «da pazzi» abbandonare: Simona sa benissimo che «c’è gente che darebbe un braccio» per fare il suo stesso lavoro, ma si è anche resa conto che ciò che la fa andare avanti e le permette di vivere «con ritmi insostenibili, uscendo di casa alle 7.30 e rientrando anche alle 23», è la «bolla di sapone» della danza sul palo, che ora insegna, assieme ad altre professioniste, nella scuola Pole dance San Lazzaro, dal lunedì al sabato. Questi locali sono molto trafficati e vivi, tra le oltre 250 allieve e la tanta musica e attività fisica. I corsi – con incontri tra le due e le tre volte a settimana – spaziano dal livello base a quello avanzato, passando persino per la exotic pole, in cui i tacchi alti sono d’obbligo. «Mi sono approcciata a questa disciplina molto tardi – racconta –, quando ormai avevo già una trentina d’anni. Da piccola mi ero innamorata della ginnastica artistica e partecipavo anche ad alcune competizioni, ma pur- troppo a 13 anni l’impegno si è sovrapposto con i rientri pomeridiani della scuola». La mamma ha preferito farle abbandonare lo sport, causandole un vero e proprio «lutto». Lo sport, comunque, è stato una bussola costante: ne ha provati tanti, persino il calcetto amatoriale. È stato in questo periodo che Simona ha iniziato ad avere problemi con la gestione del proprio corpo. «Avevo iniziato una dieta molto forte: pesavo appena 43 chili. Per me era la forma perfetta, avevo iniziato ad associare la mia femminilità – che ricercavo spasmodicamente – ai miei 43 chili». Arrivata a 30 anni, Simona comincia ad avvertire il richiamo da sirena della pole dance, l’arte performativa – un misto di danza e ginnastica – che si basa sull’esecuzione di figure atletiche su un palo, nata in America attorno agli anni Venti del Novecento, e che secondo alcuni si sarebbe sviluppata dall’arte circense.

Nel corso di un secolo di strada ne è stata fatta: oggi la pole dance è riconosciuta come una disciplina vera e propria, con regolamenti e campionati, e che negli ultimi anni si sta muovendo per un riconoscimento ufficiale come disciplina olimpica. «Non appena ho cominciato ho subito capito di essermene innamorata. Oggi per me la pole dance è come una droga: ho sviluppato una di- pendenza a cui non posso – e non voglio – resistere. Mi fa sentire libera, leggera, me stessa». E in effetti, guardando danzatrici – ma anche i danzatori, perché una quota maschile, seppur ridotta, c’è: «abbiamo tre allievi e un insegnante» – il cervello pare andare in cortocircuito, perché quelle figure sembrano sfidare le leggi fisiche e la forza di gravità restando sospese al palo di metallo, lucido e luminoso sotto le luci. Basta un lembo di pelle – e tanta, tanta resistenza fisica e controllo dei propri muscoli – e ci si stacca da terra. «La mia storia – lo scontro con il mio corpo, con la mia immagine – è in realtà un filone comune che ritrovo in molte mie allieve», continua Simona, che ora insegna la disciplina in una scuola di Bologna. «La pole dance esige questo scotto a cui non ci si può sottrarre. Si viene quasi nude, con una semplice culotte e un top, per avere il massimo grip possibile. E già così si lotta con la propria immagine allo specchio: si è costrette a guardare la propria immagine riflessa, a porla sotto l’attenzione del giudice più severo di tutti – noi stesse».

Questa, per Simona, è stata l’unica disciplina che l’ha fatta ri-innamorare del proprio corpo e anche di sé stessa: «Sento di riuscire a esprimere tutte le sfaccettature che ho e che ho avuto nel corso della mia vita. All’inizio l’approccio è stata una manifestazione di ego: volevo essere vista, volevo essere padrona del mio corpo». La pole dance aiuta molto in questo, è vero, ma chiede anche ottime dosi di equilibrio e di misura, è un gioco molto sottile «tra l’apparire e l’essere». Il rischio è quello «di sembrare disposte a dare tutto, di mercificare noi stesse: c’è chi lo pensa, ma non è assolutamente così. Noi siamo padrone di noi stesse e quindi anche dei nostri corpi. Decidiamo se, come e quando disporne», ribadisce Simona, che, una volta abbandonato il suo la- voro in banca, sogna di aprire un’accademia propria in cui trasmettere i valori in cui crede. «Diventare insegnante, per me che per lungo tempo sono stata un po’ egoista ed egocentrica, significa spogliarmi di queste vesti ed esserci solo per le altre persone: l’esatto contrario di quella “vetrina” che in passato ho sempre cercato». Simona parla più volte di un filo che unisce le esperienze di vita di molte allieve, che hanno visto nella pole dance un modo per imparare a conoscere meglio e apprezzare il proprio corpo: un legame sottile che trova conferma anche nelle parole di Graziano Gigante, che si è approcciato alla disciplina quasi per caso, per poi non staccarsene più. «Nella folla sono uno come tanti e spesso mi sembra di muovermi in maniera sgraziata, goffa. Sul palo, invece, ci sono solo io e sento di diventare anche altro: più fluido, più elegante. Mi piace la mia immagine allo specchio: accresce la mia autostima». È una disciplina, continua, che può aiutare a riconoscere quel «maschilismo tossico» che troppo spesso ci rinchiude in schemi, sociali e mentali. «Non provo vergogna nel praticare una disciplina generalmente considerata “femminile”, anzi. Da attivista sto lavorando molto su come contrastare questi pregiudizi interiorizzati». Secondo Graziano la pole ha molti tratti in comune con l’arrampicata, «uno sport che ho praticato per molto tempo», non da ultimo la capacità di tonificare il corpo. «È uno sport pesante in tutti i sensi, che richiede molta forza fisica, assieme alla sua buona dose di lividi. Ma è anche uno sport fatto di tanti piccoli passi, tutti misurabili: con l’allenamento si riescono a eseguire figure via via più complesse, e quando accade il senso di soddisfazione è ineguagliabile». Per Graziano la pole dance è una disciplina elegante e piena di grazia, in cui la fluidità delle figure si sposa, paradossalmente, con la loro staticità: è un susseguirsi di tanti movimenti che culmina con l’immobilità statuaria della figura compiuta. «I muscoli si sforzano e vanno in tensione, gonfiandosi, e il corpo diventa più tonico: mi piace come mi vedo, mi fa stare bene e l’attività fisica riduce il mio stress. Ho iniziato perché era uno sport fuori dai classici schemi, ma adesso non credo che riuscirei a smettere».

 

Una classe di pole dance. Foto concessa da Simona Gargiuolo