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Professore emerito di filosofia politica presso l’Università degli Studi di Torino ed ex allievo di Norberto Bobbio, Michelangelo Bovero ritiene plausibile un ritorno di Trump alla Casa Bianca e sottolinea gli aspetti più preoccupanti della degenerazione della democrazia incarnata dall’ex presidente.
Il professor Pasquino teme un ritorno di Trump alla Casa Bianca. Lei che ne pensa?
«Su questo devo dare ragione a Pasquino. Anch’io ritengo plausibile una vittoria di Trump. Ovviamente spero però che ciò non accada e, se anche non vincesse Trump, resterebbero comunque quei 75 milioni di elettori che lo sostengono, il che è un problema serio. Siamo di fronte a un Paese spaccato in due: da un lato l'America di Trump, dall'altro tutti coloro che non si riconoscono in lui o che non lo vogliono presidente».
Parlando delle primarie repubblicane, in Iowa i sondaggi danno Trump in testa al 43% e i suoi avversari Ron DeSantis e Nikki Haley al 16%. Secondo Lei perché, nonostante i problemi con la giustizia americana e un episodio come quello di Capitol Hill, Trump ha una presa così salda sul partito repubblicano?
«Questa presa esiste proprio perché Trump è un’espressione rappresentativa della folla dei populismi degenerati. Il partito repubblicano americano ha vissuto una fase di scivolamento verso “il fondo della destra”. In particolare, una delle cause più importanti che hanno portato il partito repubblicano a estremizzarsi è stata, a partire dagli anni Novanta, la cultura neo conservatrice o “cultura neo-con”, ossia l’ideologia del suprematismo statunitense come unica potenza egemone giustificata dallo spirito dell’eccezionalità americana. Per dare un’idea di che cosa si intende con cultura “neo-con” possiamo fare riferimento a come Robert Kagan descriveva lo spirito del dominio americano: in sintesi un’immagine degli Stati Uniti come “nazione giovane, barbara e feroce”».
Come definirebbe la linea politica di Trump? È un classico esempio di populismo di destra, una destra illiberale oppure la si può chiamare in un altro modo?
«Nel mio ultimo libro, Salus mundi, nel capitolo L’epifania del volgo, con riferimento all’episodio dell’assalto a Capitol Hill, parlo del trumpismo come “cesaropopulismo”, cioè come quel fenomeno politico in cui avviene il riconoscimento della massa intesa in senso spregiativo come oklos, ossia la folla concepita come una forma degenerata delle masse che costituiscono una democrazia, nell’uomo solo al comando. In questo caso l’uomo solo al comando non è né Cesare né Napoleone, ma, citando un demagogo dell’antica Grecia, “uno spregevole Cleone”, un tragico clown».
Oltre all’immigrazione, l’economia sarà uno dei temi principali su cui si baseranno queste elezioni presidenziali. Lei come valuta l’operato dell’amministrazione Biden?
«Qui devo esprimermi in termini generali. L’amministrazione Biden ha rappresentato ciò che si può avvicinare al meglio nel peggiore modello di società nata con la globalizzazione, ossia la società globale di oggi fondata sul neoliberalismo, dove domina l’idea che tutto sia mercato e che tutto possa essere privatizzato. La stessa Cina è diventata parte integrante di questa società globale. Io definisco la Cina un modello di capitalismo aggressivo rivestito di una armatura autocratica a partito unico. Tornando a Biden come candidato, al momento i democratici sostengono solo lui, il che è un problema perché è politicamente molto debole e non vedo altri nomi di spessore».
Che cosa pensa della vicepresidente Kamala Harris? All’inizio sembrava che con lei ci dovesse essere una vera e propria rivoluzione nella classe politica americana.
«Da questo punto di vista, la vicepresidenza di Kamala Harris è stata politicamente una grande delusione. Non c’è stato niente di eclatante o di innovativo».
E che pensa di Robert Kennedy Jr che ha deciso di correre come indipendente?
«Nonostante porti un nome molto prestigioso, anche lui non è un candidato di spessore e, viste anche alcune sue posizioni politiche come per esempio le campagne no vax durante la pandemia, speriamo che non diventi presidente. Come ho detto, purtroppo mancano nomi di spessore».
Nell'immagine, Donald Trump durante la campagna elettorale per le presidenziali 2024. Foto Ansa