Jihad
Islam Said vive in Italia da 24 anni ed è membro del direttivo del Cib, la Comunità islamica di Bologna. È uno delle migliaia di fedeli musulmani bolognesi che in questi giorni guardano con apprensione agli scontri tra Israele e Hamas e alla spirale di tensione in Europa.
Islam Said, secondo lei cosa porta un giovane ad abbracciare il radicalismo islamico?
«Gli imam e i direttivi di moschee fanno sempre molta sensibilizzazione. Nelle moschee insegniamo la religione dal punto di vista dottrinale, secondo quanto la tradizione indica come corretta interpretazione di Corano e Sunna. Purtroppo la radicalizzazione deriva da una lettura storpiata dei testi. Hamas, come Isis e Al-Qaeda prima, non sono altro che movimenti politici che utilizzano la religione per scopi politici».
Come mai i giovani sono attratti da queste letture faziose delle fonti sacre?
«Coloro che andavano in Siria o in altre parti del mondo per la jihad, erano ragazzi che non frequentavano mai la moschea e che per tutta la loro vita hanno vissuto all’occidentale, incuranti dei precetti coranici. Poi hanno un momento di difficoltà, di smarrimento, ed ecco che arriva il salvatore, ossia quella persona che ti dice: “Fai questo e avrai il paradiso eterno, sarai un martire della guerra santa”. Non frequentando le moschee non sono mai stati educati alla lettura del Corano e per questo si lasciano affascinare da queste risposte fanatiche».
Come comunità islamica e rete di moschee riuscite a fare qualcosa in prevenzione di queste derive?
«Come dicevo in moschea cerchiamo di organizzare attività di sensibilizzazione e corretta interpretazione delle fonti sacre. Il problema è proprio che chi si radicalizza lo fa fuori dalle comunità. Inoltre, qui in Italia le moschee sono gestite come associazioni culturali da persone volontarie che, quindi, nella loro vita privata fanno altri lavori e hanno altri impegni. Attraverso conferenze, preghiere collettive e incontri interreligiosi cerchiamo di avvicinare più fedeli possibili alle comunità islamiche, ma non possiamo fare una ricerca attiva dei musulmani in Italia. In primo luogo perché i musulmani nella sola Bologna sono migliaia, in secondo luogo perché la moschea è un luogo aperto a tutti e senza obblighi di frequenza».
Hamas-Israele, è l’ennesima guerra tra questi due attori o si profila uno scontro più ampio Occidente-mondo arabo? Come la comunità bolognese ha vissuto queste settimane?
«Non c’è dubbio che ogni musulmano condanni ogni violenza nei confronti dei civili e noi lo stiamo ribadendo da giorni. Quando è avvenuto l’attacco di Hamas (7 ottobre, ndr.) per la nostra comunità è stato uno shock. Subito dopo però, sentire il presidente Usa Biden parlare di bambini decapitati per poi essere smentito dalla sua stessa portavoce, ha generato sfiducia nel modo in cui la guerra è raccontata. Tuttavia, non credo che siamo a uno “scontro di civiltà”: la situazione internazionale è allarmante, ma non bisogna dimenticare che in tutti questi anni ci sono state gravi violazioni da parte dello stato di Israele. Percepisco di più un dissenso diffuso e la polarizzazione mediatica accresce reazioni di pancia poco utili a uscire da questa situazione».
A tal proposito, quale soluzione sarebbe auspicabile per la comunità musulmana?
«Per prima cosa bisogna cessare i combattimenti, poi far entrare gli aiuti umanitari a Gaza e prestare soccorso ai profughi. Dopo di che si deve creare un tavolo per discutere, dove la Palestina deve avere una sedia per trattare, altrimenti si torna sempre al punto di partenza».
Nell'immagine: Islam Said. Foto concessa dall'intervistato.