USA

Il professor Gianfranco Pasquino

«Stavolta potrebbe vincere Trump. E questa cosa mi fa paura». Queste le parole di Gianfranco Pasquino, allievo di Norberto Bobbio, tra i fondatori della Rivista italiana di scienza politica e professore emerito di scienza politica dell'Università di Bologna, dove ha insegnato dal 1969 al 2012. Di seguito le sue opinioni sul probabile esito delle prossime presidenziali americane e sull'attuale crisi politica che stanno vivendo i partiti democratico e repubblicano. 

 

Sono in corso i preparativi per le primarie per le prossime elezioni presidenziali americane. Quale scenario prevede?

 

«Dalla parte del partito democratico americano, se nel frattempo non cambiano le cose, direi che è praticamente scontata la vittoria di Biden. Quella di sostenere il presidente uscente è ormai una tattica che i due partiti utilizzano per avere più possibilità di successo, anche se dal mio punto di vista ricandidare Biden è stato un errore. Invece, per quanto riguarda i repubblicani, il vincitore delle primarie può essere solo Trump». 

 

Sembra che tra i candidati repubblicani, a cominciare da Ron De Santis, ci sia una gara a chi si presenta come peggiore di Trump. È solo una fase populista quella che sta vivendo il partito repubblicano oppure ha ormai perso definitivamente la propria anima più moderata?

 

«Credo che il partito repubblicano ormai abbia perso quell’anima moderata. Il partito si sta spostando sempre di più verso gli estremismi (come per esempio il razzismo) e, da un certo punto di vista, in realtà li ha già raggiunti. Allo stesso modo il suo elettorato si è estremizzato. L’aspetto più triste di questa situazione è che stiamo parlando dello stesso partito che, guidato da Abramo Lincoln, si era battuto per la fine della schiavitù. Oggi non esiste più neanche la figura di candidato repubblicano istituzionale come poteva essere per esempio quella di John McCain. Sulla gara a chi si presenta come peggiore di Trump, non c'è niente da fare. Gli elettori preferiscono sempre l’originale. Un ruolo chiave nella scelta di chi va alle urne è anche la notorietà del candidato e, anche su questo aspetto, Trump non ha rivali». 

 

Cosa succederebbe se Trump ridiventasse presidente e se venisse condannato? Secondo Lei ci sarebbe l’impeachment

 

«Guardi, alla fine l’impeachment è diventata più una questione di numeri che di merito o sostanza. Non sono affatto sicuro che ci possa essere un impeachment nei confronti di Trump, soprattutto se i repubblicani avranno la maggioranza. Inoltre non do per scontato nemmeno un intervento da parte dell’attuale Corte Suprema che, ricordiamolo, è la più conservatrice della storia americana».  

 

Lei prevede ancora una volta una sfida tra Biden e Trump. Chi dei due potrebbe vincere? 

 

«Stavolta potrebbe vincere Trump. E, sia chiaro, questa cosa mi fa paura, perché, come si è già visto, Trump è uno che a livello nazionale crea conflitto, pensiamo per esempio agli scontri razziali e al mancato riconoscimento dei diritti delle persone di colore, e sul piano internazionale crea disordine.

Il fatto è che Biden è un candidato molto debole e l'unico modo per i democratici di ottenere qualche chance di vittoria è portare alle urne tutti gli elettori americani, anche quelli non democratici, che non vogliono Trump alla Casa Bianca. Un'altra carta che i democratici devono giocare è mettere in risalto quanto sia migliorata l'economia del Paese grazie alla presidenza di Biden, poiché tra le tematiche più rilevanti per queste elezioni vi sono la situazione economica americana e il fenomeno migratorio. Un altro tema da non sottovalutare è la capacità del presidente nel senso di capacità di "farsi da solo" e su questo terreno Trump ha un certo vantaggio.

Attualmente entrambi i partiti possono contare su un 40% di elettorato, ma secondo il sondaggio Gallup il restante 20% voterebbe Trump, non Biden. E gli elettori indipendenti votano sulla base dei temi che sentono più vicini a loro oppure sulla personalità del candidato. Infine, un'altra cosa che i democratici devono fare è conquistare alcuni Stati in bilico come per esempio il Wisconsin e l'Arizona».  

 

Biden ha più di ottant'anni, Trump ne ha 77 e pure gli altri candidati, nella maggior parte, sono piuttosto avanti con l'età. Come si spiega questa situazione? 

 

«Anche questo è un problema ed è il risultato del fatto che, sia nei repubblicani sia in particolare nei democratici, non è ancora avvenuto il ricambio generazionale e questo è dovuto all'assenza del nuovo. Per esempio, durante la campagna elettorale presidenziale del 2020, una candidata democratica che aveva delle buone idee era Elizabeth Warren, ma aveva settant'anni. La donna più potente della Camera dei Rappresentanti è Nancy Pelosi, che a sua volta ha superato gli ottant'anni. Un esponente più giovane del partito democratico come l'ex governatore di New York, Cuomo, si è distrutto con lo scandalo delle molestie sessuali. Attualmente non c'è proprio il terreno per un candidato giovane come era Obama quando vinse per la prima volta nel 2008. Su questo problema i democratici dovrebbero chiedersi dove hanno sbagliato».  

 

Nell'immagine, il professor Gianfranco Pasquino. Foto di Eugenio Alzetta