Quirinale

Giorgio Napolitano

Il ricordo che più spesso gli torna in mente in questa giornata, in cui le notizie sull’aggravarsi delle condizioni di salute del presidente Giorgio Napolitano si rincorrono, sono le passeggiate insieme a lui per il centro di Bologna: «Prima di entrare al partito, mi diceva  sempre: 'Andiamo ad annusare l’aria', e si faceva portare a Piazza Maggiore, oppure ci perdevamo dentro i vicoli e i mercati di via Pescherie Vecchie». A raccontarlo è Aldo Bacchiocchi, consigliere comunale sotto le due Torri negli anni '70, poi assessore alla provincia e ancora sindaco di San Lazzaro, che con il primo comunista che salì al Quirinale ha condiviso passioni, ideali e amicizia e che spera questa non sia l'ultima pagina di questa storia: «'Resiste', mi hanno detto nel pomeriggio al telefono». Quando con Napolitano si sono conosciuti, erano entrambi due giovani leader del partito comunista e  da allora le loro vite e  carriere si sono intrecciate come un filo rosso, anche a questa terra.

 

Quando il primo incontro?

«Era il 1968: io ero responsabile della commissione culturale del Partito comunista a Bologna, lui ricopriva lo stesso incarico, ma a livello nazionale. Erano anni di fermento, sia sul versante delle riforme, che su quello della scuola, la società era in grande evoluzione e lui era dentro questo cambiamento».

 

Cosa lo colpì della sua personalità?

«Era già un dirigente, eppure allora e sempre, a qualsiasi livello si trovasse, avrebbe saputo mantenere questa capacità di mettere a suo agio l’interlocutore. Sapeva ascoltare, non aveva fretta. Ora i politici lasciano le interviste a metà, non hanno tempo. Per lui non era così. Eppure, c’era chi lo riteneva snob, ma solo perché non comprendeva la sua sofisticatezza umana e culturale».

 

Era curioso della vita politica di Bologna?

«Molto, dapprima per la sua stretta vicinanza al sindaco Renato Zangheri, con cui erano amici e avevano condiviso moltissime esperienze. Ma  in generale era  attento a tutta l’attività territoriale. E questa consuetudine di chiedere cosa accadesse sotto le Torri non lo abbandonò mai…».

 

In che senso?

«Anche quando venne eletto Presidente della Repubblica, continuava la nostra corrispondenza, perfino dal vivo. Avevo dei veri e propri appuntamenti al Quirinale per aggiornarlo, gli raccontavo cosa succedeva in città».

 

Ma non solo politica, amava la città rossa e dotta anche per altro:

«Sì, per l’Università: che gli conferì nel 2012 la laurea honoris causa in Scienze internazionali e diplomatiche. Lui da sempre aveva dimostrato grande interesse per la cultura: dopo l’assassinio Moro, fu il primo comunista ad andare in tour per le università in America, credeva in questa missione. Era un comunista più gradito a Washinghton che a Mosca. A Bologna fu stregato anche dalla musica: Dalla per lui era il simbolo della bolognesità e si incontrarono in città proprio nel 2012, qualche mese prima della morte di Lucio».

 

Un ricordo doloroso di questa città?

«Sì, la strage del  2 agosto. Sapeva che quell'evento rientrava nella grande strategia per destabilizzare il Paese e credeva  che in quello che era accaduto ci fosse, anzitutto, un grande problema politico da decifrare».

 

Qual è la riflessione politica più importante che lascerà?

«Nell’ultimo articolo che scrisse su la rivista “Le ragioni del socialismo”, sulla nascita del Pd, diceva che la discussione fosse stata “affrettata”, e che non si stessero coinvolgendo abbastanza persone. Espresse giudizi molto preoccupanti sul futuro del partito e credo che fosse profetico. Quell’articolo lo conservo ancora».