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“Domani faccio la brava”. Si intitola così il lavoro del fotoreporter Giampiero Corelli, che ha attraversato la penisola per raccontare uno spaccato delle carceri italiane, nelle sezioni femminili. È una mostra in due tempi, allestita nella sede dell’Assemblea legislativa, in viale Aldo Moro 50, e nella casa circondariale della Dozza, in via del Gomito 2 (visitabile su invito) fino al 10 marzo.

 

Scatti in bianco e nero e a colori raccontano la vita delle detenute, perché Corelli ha non solo fotografato ma anche intervistato donne e madri «che parlano di emarginazione e dolore - ha spiegato l’autore - ma anche di solidarietà, sorellanza e voglia di riscatto». È la società «che manifesta indifferenza» secondo Corelli. Ma l’arte e la cultura «possono essere veicoli fondamentali per mettere al centro l’impegno sul tema dei diritti delle detenute», ha aggiunto la presidente dell’assemblea legislativa, Emma Petitti.

 

Quelli della Dozza sono veri e propri manifesti, sei metri per tre, «immagini estremamente potenti», con cui si tocca la sofferenza, non solo legata alla detenzione, «ma al senso di colpa verso i figli, una preoccupazione che le donne sentono di più rispetto agli uomini - spiega la direttrice della Dozza, Rosa Alba Casella - Molti di questi luoghi sono pensati “al maschile”. E questo è un problema perché rischia marginalizzare le donne all’interno del contesto carcerario».

 

La criticità maggiore per le donne in carcere è «la carenza di attività lavorative - aggiunge Casella - che però è trasversale, indipendente dal genere. Mancano opportunità lavorative, spesso le detenute sono costrette a svolgere attività domestiche, quindi poco professionalizzanti. E questo rende ancora più difficile il percorso di autonomia ed emancipazione, che potrebbe altrimenti segnare una svolta rispetto al passato deviante». 

 

Nell'immagine il fotografo Giampiero Corelli. Foto: Apicella