Aids
Sandro Mattioli, presidente di Plus Asp (foto concessa dall'intervistato)
Nell’ultimo anno travagliato del centro sanitario di Plus Aps si sono susseguiti periodi di tensione tra i direttori dell’associazione e la Regione Emilia-Romagna, la quale non ha risposto alle richieste per salvare il Prep Point dalla chiusura, responsabile per la prevenzione di malattie come Hiv, epatite c e sifilide. Secondo Sandro Mattioli, presidente di Plus, ci sarebbero delle barriere economiche e burocratiche a impedire la corretta ripresa e mantenimento delle opere di prevenzione del centro sanitario.
Sandro Mattioli, come nasce e come funziona il Prep Point di Plus oggi?
«Plus nasce come associazione di pazienti con l’Hiv nel 2011, e negli anni abbiamo costruito le fondamenta per attivare il Blq Checkpoint, il primo servizio in Italia che offre test gratuiti per sifilide e Hiv. Dopodiché, nel 2018 abbiamo aperto Prep Point, il quale fornisce attualmente gli strumenti per la profilassi pre esposizione, grazie a un farmaco che impedisce il contagio di Hiv nel 97%».
Quanto è importante il ruolo del vostro centro nel panorama sanitario locale?
«Nel corso degli anni siamo riusciti scongiurare parecchie diagnosi tardive, e a prenderci carico di tutti quei pazienti che, altrimenti, intaserebbero gli ospedali pubblici. Per capirci, ad oggi noi seguiamo duecento pazienti, mentre il Sant’Orsola, che è l’ospedale più grosso della regione, ne segue seicento. Quindi seguiamo un numero di persone discreto per essere un’associazione, e il nostro apporto sul sistema sanitario regionale si sente sicuramente».
Qual è la causa dietro i problemi economici del Prep Point?
«Sin dalla sua apertura, il Prep Point è andato avanti grazie a delle donazioni private, dopo che la Regione ci ha aiutato con l’apertura di Blq Checkpoint. Purtroppo, quest’anno la raccolta fondi è andata male e abbiamo dovuto chiedere una mano alla Regione, finora senza successo».
Plus ha già lanciato l’allarme a fine ottobre, ma adesso la situazione si è aggravata. Come si è arrivati a questo punto?
«Il mancato sostegno al centro di prevenzione è dovuto al buco nel bilancio della Regione, che si vede costretta a fare tagli alla sanità, ma noi chiediamo che non vengano toccati quei progetti che funzionano: un bravo manager taglia i rami secchi e reinveste nelle cose che funzionano. Anche se la Prep funziona, l’Emilia-Romagna ha scelto di frapporre delle barriere alla sua diffusione, alla sua erogazione nelle farmacie e al suo rimborso da parte dal sistema sanitario nazionale. Per questo ci serve sostegno e ci serve subito, sia a livello normativo che economico, altrimenti ci rimettiamo tutti».
Con le risorse attuali, per quanto ancora riuscirete di rimanere aperti?
«Circa un mese al massimo».
Quali sarebbero le conseguenze se il centro di prevenzione chiudesse?
«Anzitutto ci sono le conseguenze sanitarie per i nostri pazienti, persone che vedono interrotta una terapia regolare, e che sono a rischio di contrarre l’Hiv, con tutte le implicazioni del caso. Poi ci sono i fattori economici: mentre il farmaco per la Prep costa in media 12 euro, i farmaci per combattere l’Hiv possono costare più di 500 euro, un peso molto più gravoso per qualsiasi cittadino. Infine, ci sarebbe un carico extra che gli ospedali pubblici devono sopportare, il che sarebbe scomodo sia per i medici che per i pazienti».
Sembra che abbiate avuto modo di interfacciarvi con i problemi della sanità pubblica
«È così. Abbiamo accolto due pazienti che venivano dall’ospedale di Ferrara, dove il servizio di profilassi pre-esposizione costringe il paziente ad andare in tre ambulatori diversi: una volta per un prelievo ematico, una volta per il tampone batterico e una volta per la visita. Erano visibilmente arrabbiati, perché erano obbligati a prendere più permessi d’uscita dal lavoro, e rinunciare a giorni di paga. È una pazzia».