La campionessa il giorno della vittoria

 

Quando Pamela Malvina Noutcho Sawa sale sul ring del Paladozza l’8 novembre 2025, la città è dalla sua parte. Davanti a oltre duemila persone, l’atleta e infermiera del pronto soccorso dell’ospedale Maggiore affronta l’argentina Karen Elizabeth Carabajal per il titolo mondiale IBO dei pesi leggeri. Dodici riprese dopo, i cartellini parlano chiaro: è campionessa del mondo. La prima donna italiana a riuscirci in questa categoria. «Ho paura di svegliarmi e che tutto questo sia solo un sogno», le sue parole incredule dopo la vittoria. Al “Quindici”, una settimana dopo il traguardo, racconta di stare ancora guarendo da quell'emozione. «Ho preparato questo match per quattro mesi: quando quella sera ho vinto ero stanca e spaesata. Ma ero felice di essere arrivata fino in fondo». A mente più fredda, invece, «sto rivivendo tutto. Sono contenta del risultato ma anche di tutto l’incontro. È stato pura crescita, la prima volta che ho affrontato un’avversaria che ha lottato fino alla fine, in una battaglia all’ultimo colpo».

La dedica della vittoria, «a tutte le persone che non riescono a vivere con dignità, a chi sta subendo gli effetti della guerra e della crisi economica, dalla Palestina al Sudan, all'Ucraina», riporta la pugile alle sue origini, alla sua famiglia e al Camerun, suo Paese natale. «Ho pensato a mio papà: ha avuto tre figli, e intanto stava studiando ingegneria. Poi, arrivato in Italia per la magistrale, avrebbe potuto concentrarsi solo sulla carriera e invece ha pensato alla famiglia. Ha abbandonato tutto per andare a fare l’operaio. La sera, il lavapiatti, per riuscire a mantenerci». Una storia che accomuna tante persone, col desiderio di costruirsi un futuro migliore. E poi ci sono dei Paesi «che sono in guerra. E lì ci sono tanti che potrebbero vivere una vita serena e invece devono lottare ogni giorno per sopravvivere. Volevo rendere omaggio a tutti coloro che hanno una dignità, che però ogni giorno gli viene strappata dal mondo».

Noutcho Sawa, nata a Bafia, in Camerun, nel 1992, arriva in Italia a otto anni, per ricongiungersi con il padre. A Perugia, a settembre del 2000, inizia a frequentare la scuola elementare e a studiare l’italiano. «Non ho fatto mai fatica a integrarmi – racconta- e non ho nessun ricordo negativo. Anzi, giocavo con tutti i bambini ed ero molto allegra». Dopo le superiori, sempre frequentate nella stessa città, il trasferimento a Bologna, nel 2011, per frequentare l’università di Infermieristica. Dopo la laurea triennale è proprio qui che, a 25 anni, c’è il primo incontro con il pugilato. «È iniziato tutto dal tirocinio al centro Beltrame, in San Donato, che accoglie persone senza fissa dimora. Qui ci sono tantissimi progetti che permettono l’interazione tra persone ospiti e chi vive fuori. Tra questi, c’era la “Palestrina popolare”. Tra gli sport, il pugilato. Mi sono trovata coi guantoni in mano un po’ per caso ma l’avevo sempre considerato uno sport violento e senza senso». All’inizio, nessuna intenzione di combattere. Ma poi «il mio maestro notò delle qualità e mi propose di fare qualche simulazione di match, “poi se non ti piace puoi sempre smettere”, mi diceva».

Ma Pamela Noutcho Sawa è andata avanti: dopo il primo incontro l’11 dicembre 2017 ha continuato a combattere passo dopo passo fino al Mondiale. «Non ho mai voluto correre, ho sempre preso ogni combattimento come se fosse un’avventura nuova, senza pormi obiettivi… almeno finché non sono diventata professionista». Il passaggio da dilettante a professionista, per la pugile, si interseca a doppio filo con il percorso per ottenere la cittadinanza italiana. «Nel 2020 - racconta - ho vinto i campionati italiani: di solito dopo si viene chiamati in Nazionale per i test, e quella è la via per i tornei internazionali, o le Olimpiadi…solo che io non sono stata convocata. Al mio posto, l’atleta che avevo sconfitto in finale. Ci sono rimasta male e mi sono chiesta il perché. E ho scoperto che era perché non avevo la cittadinanza… Per me è stata una stoccata». Da qui, la decisione di intraprendere un’altra via: quella del pugilato professionistico nel 2022. E ad agosto dello stesso anno, Noutcho Sawa riesce a diventare cittadina. Ma, nello sport, per lei le discriminazioni non sono legate al razzismo. Piuttosto, all’essere donna. «La boxe - spiega - è dominata da persone nere. Le donne che fanno pugilato, invece, sono viste come “gattine che lottano nel fango”: sono sempre tutti convinti che non ci sia tecnica, ma che sia uno sfogo di ormoni». E spesso questo doppio standard viene applicato anche dagli allenatori. Che guardano agli uomini come divinità, e alle donne come meno valide. «Spesso mi son sentita dire “sei brava, combatti come un uomo”. Ma non è un complimento. Mi piacerebbe sentirmi dire che sono capace nel mio lavoro, così invece si minimizzano i miei risultati perché sono una donna. Si dice che il pugilato non sia per noi perché violento. E invece non è così, come credevo anche io, prima di entrare in questo mondo. È disciplina, regole, allenamento». Diverso è invece il clima in ospedale. Pamela Noutcho Sawa è infermiera al pronto soccorso del Maggiore e la sua vita si divide tra il ring e la corsia. «Spesso ho avuto a che fare con persone che non hanno voluto le mie cure perché “nera e non italiana”, con chi mi ha guardato con diffidenza, con chi credeva che io lavorassi rubando il posto a qualcun altro». Conciliare tutto non è semplice, ma «la fortuna è che in ospedale faccio i turni, e quindi ho sempre un momento libero per allenarmi. In più, i miei allenatori cercano di organizzarsi in base ai miei orari. Ciò che mi pesa, alcune volte, è trovare la forza mentale». Questi due mondi, che sembrano molto distanti fra loro, hanno invece tanto in comune. «Sia sul ring sia in corsia serve tanta capacità di rimanere concentrati. E bisogna valutare tutte le opzioni: da un lato per studiare bene l’avversario e le sue mosse, dall’altro per comprendere il problema del paziente. Un’altra cosa che condividono è l’utilizzo delle mani, fondamentali sia nella cura dell’altro sia nel pugilato: il tocco e la capacità di gestirlo sono cruciali. E poi, in nessuno dei due casi, bisogna dare per scontato l’altro. In ospedale non bisogna sottovalutare chi chiede il tuo aiuto. Nel quadrato, l’avversario è uno come te, che si è allenato e vuole batterti». Due professioni complementari, perché «in corsia mi prendo cura degli altri, sul campo mi prendo cura di me stessa».

Le radici di Noutcho Sawa, a Bologna, sono piantate in Bolognina. Qui si allena, la sua società è la “Bolognina boxe”. «Un quartiere non semplice, certo, ma già marchiato come malfamato a priori. La Bolognina è una comunità: persone che provengono da varie parti del mondo e tentano di convivere. È un’opera d’arte, un paese più che un quartiere. È pieno di giovani che oltre il pregiudizio tentano di mostrare le loro capacità e hanno solo bisogno di una possibilità». L’impegno sociale dell’atleta, fuori dal ring, guarda sempre alla sua storia e a quanto sia difficile, in Italia, ottenere la cittadinanza. «Dopo la mia esperienza, mi sto impegnando per fare qualcosa utile a tutti. Secondo me, se si lavora regione per regione, si può cambiare a livello nazionale. Non è possibile che una persona che non è nata ma cresce qui, partecipa alla vita economica e sociale del Paese, debba fare così fatica per diventare cittadino». Pamela Noutcho Sawa viene spesso raccontata come un modello. Eppure lei non sente propria questa definizione. «La mia fortuna non l’ho costruita da sola, tanti leggono la mia storia come un riscatto personale. Ma i miei genitori hanno lavorato tanto per mandarmi all’università e costruire il mio futuro. Il mio allenatore ha lavorato tanto per organizzarmi gli incontri. Mi ha sempre detto che non dovevo occuparmi di nulla se non allenarmi e rendere sul ring. E le persone della Bolognina, Bologna, mi sono sempre stati accanto. Insomma: il modello non sono io. Il modello è Bologna. Un esempio di comunità che funziona, che cresce, che quando lavora insieme porta a grandi risultati».

 

L'articolo è stato pubblicato nel n.8 del Quindici del 27 novembre