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            Un corteo di lavoratori della Magneti Marelli 

 

Negli ultimi anni Bologna, uno dei cuori pulsanti dell’industria manifatturiera e automobilistica nazionale, sta affrontando una crisi senza precedenti. Il tessuto produttivo della città, un tempo solido e strategico, è oggi scosso da chiusure con migliaia di posti di lavoro a rischio. I numeri parlano chiaro: dagli ultimi dati Inps sull’attivazione dei provvedimenti di cassa integrazione emerge che nel 2024 si è registrato un aumento del 71% rispetto all'anno precedente, con un salto da 7.977 a 13.904 lavoratori coinvolti. I settori più colpiti? Manifatturiero e metalmeccanico, con l’automotive in prima linea. Si tratta di una trasformazione drammatica che lascia spazio a incertezze e inquietudini sul futuro economico della città.

Ma come si spiega, nella terra dei motori, a poca distanza da aziende di eccellenza come Lamborghini, Ferrari e Ducati, questa profonda crisi del settore della componentistica e del sostegno all’elettrico? «La produzione dell’automotive bolognese e in generale emiliano romagnola è molto aperta verso i mercati internazionali - spiega Franco Mosconi, professore ordinario di economia e politica industriale all'Università di Parma - Questo condiziona pesantemente i risultati delle nostre industrie, in una situazione di crisi». Inoltre, è importante ricordare che «mentre le grandi imprese del territorio si posizionano su un mercato di lusso o di nicchia, e quindi se va male un certo tipo di mercato ce n’è un altro, nell’ambito della componentistica molte aziende sono legate al mercato tedesco». Ne consegue dunque che in questo ultimo periodo di «profonda crisi del settore automobilistico tedesca, la nostra industria ha subito un forte rallentamento, un vero e proprio contraccolpo». dice. «Per concludere, senz’altro un altro fattore che influenza il mercato dell’automotive è quello della transizione all’elettrico e dell’incertezza a livello europeo su questo tema».

 

I gravi problemi dell’automobilistico

 

Magneti Marelli, specializzata nella fornitura di prodotti e sistemi ad alta tecnologia per l'industria automobilistica, sta affrontando difficoltà legate alla crisi del comparto auto, anche per la dipendenza da clienti come Stellantis e Volkswagen. Sul territorio bolognese, l’azienda ha due stabilimenti: Marelli Europe, a Bologna, e Marelli, di Crevalcore. Nello stabilimento bolognese, che conta 600 dipendenti, e dove si concentra la ricerca e sviluppo, è stata attivata dal 17 febbraio 2025 una misura di cassa integrazione ordinaria per tre mesi con una riduzione dell'orario di lavoro del 20-25%. Questo provvedimento, che riguarda la divisione Propulsion Solutions, escludendo il settore Motorsport, comporta una riduzione dell’orario lavorativo fino a 16 ore settimanali.

«Ciò che ci ha fatto sollevare delle contrarietà e ci ha portato a manifestare è che lo stabilimento di Bologna è centro di ricerca e sviluppo per tutti gli stabilimenti Marelli italiani ed europei - ha spiegato Mario Garagnani di Fiom-Cgil - Nonostante la crisi, sosteniamo che nei luoghi dove si fa ricerca e sviluppo è necessario investire. Solo qui è possibile trovare eventualmente le strade per invertire la situazione e governare le transizioni».

La situazione a Crevalcore, invece, ha avuto una risoluzione positiva con la cessione, nell’agosto 2024, dello stabilimento a un nuovo imprenditore per la reindustrializzazione: si tratta di Tecnomeccanica, società piemontese, che ha integrato lo stabilimento Marelli nelle proprie attività. Ad oggi, Invitalia, società partecipata dello Stato, ha acquisito una quota del 40% nella fabbrica di Crevalcore. Tuttavia, il futuro dell’azienda e dell’intero settore rimane incerto, con l'attesa per il piano europeo sull'automobile e la minaccia di nuovi dazi internazionali che potrebbero peggiorare ulteriormente la situazione.

 Anche la BredaMenariniBus, azienda produttrice di autobus con stabilimenti a Bologna e Flumeri (Avellino) e parte del gruppo Industria Italiana Autobus (IIA), sta vivendo una lunga fase di incertezza. A dicembre 2024, l’azienda e i sindacati hanno trovato un accordo per gestire la riorganizzazione dello stabilimento di Bologna. Questo accordo ha coinvolto 77 dipendenti, che nell’agosto precedente avevano ricevuto un avviso di trasferimento allo stabilimento di Flumeri. «Questo perché l’azienda aveva deciso di concentrare ogni aspetto della produzione in provincia di Avellino, mentre su Bologna si sarebbe concentrata la parte inerente alla ricerca, sviluppo, parte commerciale e postvendita», ha spiegato Garagnani. «C’era dunque un rischio di esubero di personale: di questi 77, secondo l’accordo 30 saranno accompagnati con incentivi alla pensione, nei prossimi quattro anni. Altri 30, attraverso percorsi di riqualificazione, rimangono a lavorare nei riparti di riparazione, ricambi, ricerca e sviluppo e postvendita. È stata inoltre avviata una procedura di licenziamento collettivo riguardante 17 operai». Entro la fine del biennio, saranno assunte almeno 30 nuove figure nei settori di ricerca e sviluppo e commerciale. Se gli accordi saranno rispettati, entro la fine del 2026 l'azienda di Bologna conserverà tra i 130 e 150 dipendenti, e ci sarà un incremento della forza lavoro nello stabilimento di Flumeri che raggiungerà i 450 dipendenti, dai 350 attuali.

 

Meccanico/elettrico, lo spettro dei licenziamenti

 

Marzocchi Pompe di Casalecchio di Reno, azienda che produce pompe e motori ad ingranaggi ad alte prestazioni, ha chiuso il 2024 con ricavi netti pari a 40,04 milioni di euro, in calo del 19,5% rispetto al dato del 2023, anno in cui il gruppo ha raggiunto il massimo storico, pari a 49,7 milioni. A questa flessione, influenzata dalla crisi generale dell’industria europea e americana, l’azienda ha reagito avviando, il 17 gennaio 2025, una procedura di licenziamento collettivo per 38 dipendenti. I lavoratori hanno risposto prontamente, «chiedendo all’azienda il ritiro della dichiarazione di esuberi: l’obiettivo è quello di cercare soluzioni condivise al problema, discutendo senza la scure della procedura di licenziamento», ha spiegato Eugenio Martelli di Fiom. L’azienda ha accolto la richiesta.

 

 Kemet Electronics, produttrice di componenti passivi per circuiti elettronici con sede a Sasso Marconi, è fortemente legata al settore dell’automotive, e ne sta subendo la crisi. Crisi, questa, che affligge l’azienda da una quindicina di anni e che ha comportato un taglio netto della forza lavoro, da 1.300 a 278 dipendenti. E «l’ultima dichiarazione di esuberi risale a dicembre 2024 – racconta Antonio Felice di Fiom - quando l’azienda ha denunciato 120 licenziamenti». Questo ultimo evento è stato risolto con un contratto di solidarietà difensivo, uno strumento che consente di ridurre temporaneamente l'orario di lavoro di tutti i dipendenti, in modo che possano continuare a lavorare senza subire un licenziamento, riducendo così i costi aziendali. Questa soluzione tampone consentirà all’azienda e ai sindacati dei lavoratori, insieme alle istituzioni, di avere «un anno di tempo per cercare delle soluzioni alternative ai licenziamenti. Chiederemo all’azienda di investire su processi e prodotti, di formare i lavoratori con l’obiettivo di aumentarne la flessibilità, rendendoli abili a più mansioni», dice ancora Felice. 

 

Nel quadro delle crisi aziendali sul territorio, anche un’altra realtà di Sasso Marconi, Manz Italy, filiale della multinazionale tedesca Manz AG, sta attraversando un periodo critico. Ad oggi l’azienda, specializzata soprattutto nelle tecnologie per la produzione di batterie e componenti elettronici, conta una novantina di dipendenti. Dopo la forte crisi che ha colpito Manz AG, parte dei suoi asset, con circa 300 dipendenti, saranno rilevati da Tesla. L’azienda italiana, però, non seguirà la tedesca: i dipendenti sono ritornati in cassa integrazione, per 13 settimane, da fine febbraio. Questi ammortizzatori sociali erano già stati attivati per i dipendenti nei mesi scorsi, fino a metà gennaio. L'azienda ha recentemente avviato una procedura stragiudiziale di composizione negoziale, e i sindacati hanno richiesto l'apertura di un tavolo di salvaguardia a livello regionale. L'obiettivo è quello di cercare un  investitore che possa garantire la reindustrializzazione e la continuità occupazionale.

 

Gaggio Tech e La Perla, tra paure e speranza

 

Al di fuori della meccanica, situazione particolare nel quadro della crisi del settore industriale nel territorio bolognese è rappresentata da Gaggio Tech, precedentemente nota come Saga Coffee. L’azienda sta affrontando una nuova crisi, dopo una lunga lotta portata avanti dagli operai tre anni fa per difendere il posto di lavoro. A inizio marzo il socio di maggioranza Alessandro Triulzi, di Tecnostamp, ha deciso di avviare la liquidazione volontaria dell'azienda. Una mossa che ha colto di sorpresa sia i lavoratori che le istituzioni locali, dopo che solo tre anni fa l’azienda era stata acquistata con l’obiettivo del rilancio, abbandonando la produzione di macchine da caffè professionali e specializzandosi nella produzione di lamiere e stampaggio di materie plastiche. Dopo un accordo siglato in Regione tra istituzioni, sindacati e il liquidatore Mattia Berti, venticinque lavoratori sono stati assunti da Minifaber, socio di minoranza, che ha espresso l'intenzione di proseguire l'attività. Il resto dei lavoratori, 105, è in cassa integrazione straordinaria, nell’attesa di una reindustrializzazione. L’ammortizzatore sarà garantito fino al 31 maggio; successivamente sarà sostituito dalla cassa integrazione per cessazione. «Questo provvedimento garantirà la continuità salariale ai lavoratori - spiega Primo Sacchetti, segretario organizzativo della Fiom Emilia-Romagna. Chiamiamo a raccolta l’imprenditoria bolognese: è necessario coinvolgere chi ha la capacità industriale di trovare una soluzione per questa azienda. Cercheremo di coinvolgere i top player dell’imprenditoria, come Vacchi, Marchesini, Ducati, Lamborghini, Seragnoli». Le istituzioni regionali, insieme alle parti coinvolte, continueranno a lavorare per garantire la reindustrializzazione completa del sito, con l'obiettivo di salvaguardare l'occupazione e il tessuto economico.

 Anche La Perla, storica azienda di lingerie di lusso, è in una fase critica e di svolta. Di recente, dopo mesi di trattative con il ministero delle Imprese e del Made in Italy, è stato raggiunto un accordo per la cessione unitaria di tutti gli asset del gruppo. L’obiettivo è ora la ricerca di un acquirente interessato alla reindustrializzazione dell’azienda, al fine di «preservare il marchio e le competenze delle maestranze coinvolte», spiega Stefania Pisani, di Filctem Cgil. Sono giunte circa venti manifestazioni di interesse per l’acquisto del marchio e dell’azienda. I potenziali acquirenti elaboreranno le loro offerte, che saranno analizzate a maggio. Entro fine giugno, è prevista la cessione della società. Nel frattempo, sono necessarie misure di tutela delle lavoratrici. Attualmente La Perla Manufacturing srl è in amministrazione straordinaria: le produzioni sono attive, anche se in misura ridotta, e le lavoratrici percepiscono la cassa integrazione straordinaria per crisi. Le 175 operaie «riceveranno questi ammortizzatori fino al 31 gennaio 2026: questo ci permetterà di tenere agganciate le professionalità al gruppo e di godere di questa tutela nella prima fase di rilancio aziendale», dice Pisani. Più difficile la situazione per La Perla Management e La Perla Italia, che «sono in una situazione di liquidazione giudiziale, di fallimento». È un problema per 53 lavoratrici, che godono solo della cassa integrazione per cessazione, per 12 mesi. Periodo che è terminato il 25 gennaio 2025 per il settore management e il 10 aprile per La Perla Italia. I sindacati hanno ottenuto dal Ministero del Lavoro l’approvazione di un decreto che garantirà la proroga della cassa integrazione straordinaria per cessazione, con effetto retroattivo, per un ulteriore semestre.

                                                                     

                                                                                                                Le "Perline" durante una manifestazione