enogastronomia

Il peperoncino di plastica nei parcheggi di Grand Tour Italia
Nel 2017 Oscar Farinetti inaugurava la Fabbrica Italiana Contadina, o Fico. «E’ giunto il momento di incominciare a parlare di cibo partendo dall’origine e non dalla fine», annunciava. L’origine, per l’appunto, era chiara: l’idea, figlia dell'expo del 2015, di creare un parco dove risalire la filiera di produzione delle eccellenze della tavola valorizzando ogni passaggio. La fine, invece, è rimasta vaga. Non si è mai trovata la formula per rendere la visione dell’imprenditore biellese concreta e quindi in grado di generare utili. Alla presentazione di Grand Tour Italia, la nuova incarnazione del progetto dopo la chiusura di Fico del febbraio 2024, Farinetti ha cercato di tratteggiare meglio i contorni della sua visione per il parco definendolo «un viaggio attraverso il quale vogliamo raccontare il Paese e le sue 20 regioni, con locali che cucinano pochi piatti, ma buonissimi». Fra le due dichiarazioni sono passati più di sette anni, i visitatori non si sono mai avvicinati ai numeri annunciati e nel frattempo sono spariti svariati milioni, bruciati nell’avventurismo imprenditoriale di una scommessa mai decollata. Cosa resta oggi del tentativo di rivalutare l’enorme guscio vuoto dell’ex Caab con la mostra permanente dell’enogastronomia italiana? L'impressione che si ha percorrendo gli sconfinati corridoi di Grand Tour Italia è che il cibo sia sempre più un elemento fra i tanti, soffocato da palestre, giostre per bambini, piste di go kart e sale giochi. Le cicatrici lasciate sulla pelle degli investitori e della città impongono di guardare prima al conto economico, tutto all’interno del parco racconta questo. Le specialità regionali non sono più l’unico piatto forte, i padiglioni vengono accorpati e i ristoranti diventano la quinta scenica di mostre, eventi musicali e spettacoli. Le parole d’ordine sono ridimensionamento e razionalizzazione, 50.000 metri quadri sono tanti e vanno sfruttati considerando che la sostenibilità da mettere al primo posto stavolta deve essere quella economica.
Che sia una fase di transizione lo si percepisce fin dall’enorme arcata d’ingresso ai parcheggi. Le dieci corsie intervallate da caselli dismessi raccontano della distanza fra ciò che ci si aspettava e quello che poi è stato. Tutto è sovradimensionato e spesso di un kitsch malinconico come il gigantesco peperoncino di plastica che accoglie i visitatori affacciandosi da un’aiuola incolta. L’entrata vera e propria è nascosta dietro una torre di venti metri di cemento a vista e finta edera, i tornelli sono ancora lì, ormai sono inutili, ma riportano al gennaio del 2021 e alla scelta dell’allora amministratore delegato Stefano Cigarini di rendere l’ingresso al parco a pagamento. Fu a detta di molti il colpo di grazia dopo i traumi del Covid, dei 23 milioni di perdite accumulati dall’apertura al 2023, circa 15 sono da imputare agli ultimi tre esercizi. Le previsioni e i dati reali si sono sempre rincorsi in un continuo gioco al ribasso, spesso dimezzandosi di volta in volta a ridimensionare i numeri con precisione matematica. Dei sei milioni di visitatori l’anno annunciati all’apertura come previsione ne sono arrivati al massimo tre nel 2018, l’anno migliore di Fico. Si è poi passati a un più realistico milione e mezzo nell’obiettivo fissato da Farinetti per Grand Tour Italia. Una volta dentro, l’estetica è la stessa, ma al di là dei timori i visitatori ci sono. Fra i pochi scaffali di prodotti rigorosamente Eataly e le varie attrazioni si aggirano un discreto numero di famiglie e di anziani, qualche turista e pochi giovani. Nonostante il volume degli spazi e il sovrapporsi disordinato di mortadelle di plastica, finti vigneti e scivoli a forma di tagliatella l’impressione non è di trovarsi in un centro commerciale all’orario di chiusura; non c’è ressa, ma dal giovedì alla domenica, i giorni di apertura, il parco può contare su circa 10.000 visitatori.
Nei 200 metri che uniscono il grande albero intorno a cui si organizza l’animazione per i bambini alla cavea dell’auditorium si incontrano quindici ristoranti regionali che, a detta dei gestori, nei fine settimana, fanno dei buoni numeri. Il cuoco del ristorante ligure ci viene incontro sorridente tenendo sospesa a mezz'aria una ghirlanda di scontrini: «Sono soddisfatto, non ce lo aspettavamo quando siamo entrati. In media facciamo 80 coperti al giorno, a volte arriviamo anche a 100, abbiamo già fatto richiesta per aggiungere dei tavoli». Gli fa eco la titolare del padiglione del Friuli, il primo ad affacciarsi sul grande corridoio centrale, «ci sono tanti italiani, soprattutto toscani, veneti e bolognesi; abbiamo ancora clienti affezionati che venivano già da noi ai tempi del vecchio Fico, appena abbiamo riaperto sono tornati. Noi siamo innamorati di questo posto e di questo progetto, ci crediamo e Farinetti ha un rispetto pazzesco per tutti noi, ci viene sempre incontro. Non sta andando poi così male».
Dalle sue parole emerge anche come, al di là dei numeri e delle dichiarazioni di facciata, il progetto di Grand Tour Italia sia molto diverso da quello di Fico. «Eravamo 70 operatori, non tutti ristoratori, ora saremo una ventina, non avremmo la capacità di gestire numeri più alti di questi». Del supermercato delle eccellenze del made in Italy ormai non c’è più traccia, come sottolinea il gestore del ristorante calabrese: «L’intrattenimento è il cardine dell’offerta e va potenziato e migliorato, ora c’è ristorazione più che altro. Il concetto della filiera mostrata per intero era una bell’idea, ma non poteva essere sostenibile». Ed effettivamente sull’altare degli obblighi di bilancio sono stati sacrificati campi, animali da allevamento e pastifici, troppo onerosi e poco funzionali alla nuova strategia imprenditoriale. All’inaugurazione di Fico Farinetti aveva dichiarato che il parco sarebbe stato «un luogo vero, dove partendo dalla terra poi si arriva alla trasformazione e dalla trasformazione si passa alla tavola, al mercato. E in mezzo un teatro, un centro congressi e sei giostre». Quello che resta di quella visione è soprattutto ciò che stava in mezzo, per l’appunto: gli spazi riservati ai servizi e all’intrattenimento che per l'ex patron di Unieuro dovevano fare solo da contorno alla celebrazione della biodiversità dello stivale. Le proporzioni dell’ex mercato agricolo sono imponenti e il nuovo management è ancora alla ricerca della formula per mantenere un equilibrio fra l’interesse del pubblico e i costi di gestione, è evidente dall’alternarsi di attività e spazi vuoti. I padiglioni in attesa di una destinazione sono molti soprattutto nella parte finale del percorso di visita. La sensazione è che più ci si allontana dall’ingresso più cali il numero di visitatori. Nell’area si sarebbero dovuti percorrere circa un terzo dei 5.000 passi attraverso cui Grand Tour Italia vuole celebrare l’enogastronomia. Invece, come annunciato alla stampa dall’attuale amministratore delegato Piero Bagnasco, si dovrà fare posto a una palestra e a vari impianti sportivi che costituiranno un grande polo dedicato ai servizi e all’intrattenimento. I sei ristoranti che finora hanno chiuso erano tutti vicini all’uscita dove trova posto anche l’enorme vuoto al neon della pista di go-kart, una distesa d’asfalto grigio orlata dal bianco e dal rosso dei cordoli di plastica che non è ancora entrata in funzione e dalla quale dipende una buona parte dei flussi di visitatori previsti.
A oggi Grand Tour Italia è quindi un mosaico di attività estremamente diverse tra loro dove spesso i ristoranti aperti emergono in un controluce con le aree ancora deserte o con una delle tante giostre sparse nel parco. Tutto racconta di tentativi, di ripartenze e battute d’arresto dolorose, ma anche di realismo nel ridefinire la scala di un progetto che altrimenti sarebbe stato probabilmente condannato ad implodere. Se Farinetti e Bagnasco riusciranno nel piccolo miracolo di far quadrare finalmente i conti, Bologna avrà un nuovo polo della ristorazione comunque unico nel suo genere, il tutto circondato da servizi di ogni tipo rivolti soprattutto alle famiglie. Non è paragonabile alla Disneyland del cibo promessa più di sette anni fa ed è già una versione ridimensionata del viaggio sulle orme di Goethe annunciato a settembre, ma dato il recente passato meglio di così sarebbe difficile fare.
Il reportage è tratto dal "Quindici" n.1 uscito il 9 aprile 2025.